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 Corso di gravidanza 5

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V I S U A L I Z Z A    D I S C U S S I O N E
admin Inserito il - 26/08/2010 : 11:37:26
Corso di gravidanza 5

(di Bianca)

(parte quinta)

°°°

IL PARTO IN CASA

La più importante delle trasformazioni è la nascita di una creatura. Prima c’è una donna col pancione e dopo c’è una donna col suo bambino. Prima c’è una figlia e dopo c’è una madre. Questa realtà si presenta in modo visibile e ogni volta che ce la troviamo di fronte, suscita in noi meraviglia.

Parlare di parto in casa significa, per la coppia, fare una scelta importante e preferire la dimensione della propria casa, della propria intimità alla clinica di maternità; comunque, data la complessità di una tale esperienza così profonda e ricca di emozioni come dare alla luce il proprio bambino, prendere una decisione del genere non è facile, malgrado tutti i lati positivi che essa presenta.

La donna che preferisce partorire in casa, generalmente desidera vivere questo evento in tutta naturalezza. E’ sottinteso che il parto in casa potrà essere affrontato solamente da donne che presentano una gravidanza normale e per le quali si prevede un parto senza problemi.

Attualmente non è raro incontrare donne che programmano di partorire in casa, dove, rimanendo nel loro ambiente, si sentirebbero più a loro agio, circondate dalle cure e dall’amore di chi le assiste e le sostiene.

L’ambiente adatto al parto dovrà essere provvisto di strumenti come la sedia da parto, maniglie a cui aggrapparsi ed altro, dove la donna, in presenza dell’ostetrica e possibilmente del proprio compagno, ha il potere di decidere come portare avanti il travaglio e scegliere le posizioni da assumere, nel rispetto dei propri tempi e dei tempi del bambino. Tutto deve svolgersi secondo natura, in un ambiente silenzioso, con luci soffuse e una leggera musica in sottofondo.

La donna che partorisce in un’atmosfera come questa, in cui ogni passaggio viene considerato sacro, ne esce orgogliosa e felice di aver vissuto il parto nella maniera più naturale possibile avvalendosi solo delle proprie forze e seguendo i propri istinti. Le donne sanno già tutto. Hanno bisogno soltanto di una presenza pronta a intervenire in caso di bisogno. Anche per le ostetriche è una grande soddisfazione assistere donne che si gestiscono da sole, rassicurate soltanto dalla loro presenza non solo professionale ma soprattutto amorevole. Non ha importanza se, in questi casi, i tempi si allunghino, purché tutto si concluda bene.

Esistono attualmente strutture ospedaliere provviste di luoghi attrezzati per il parto naturale, in cui si cerca di creare una situazione tranquilla, priva di attrezzature, dove, adiacente alla sala parto, è prevista una camera da letto arredata come a casa propria e dove la puerpera può soggiornare per un breve periodo dopo il parto assieme al proprio bambino e al proprio compagno. In questo contesto, la figura dell’ostetrica assume un’importanza particolare quale aiuto e sostegno non solo durante il parto, ma anche prima e dopo e con la quale va stabilito un rapporto non solo di confidenza, ma soprattutto di profonda fiducia.

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IL PARTO IN ACQUA

“L’acqua è sempre stata il simbolo della madre in ogni tempo e luogo. La vita ebbe inizio nell’acqua e, nel liquido amniotico, noi ricatturiamo la storia della vita (Michel Odent)

L’acqua è l’elemento femminile per eccellenza ed è fonte di vita. Essa contiene, sostiene, accarezza, massaggia ed evoca percezioni piacevoli e rilassanti.

L’acqua a una certa temperatura aiuta a entrare in uno stato di benessere sensoriale, a lasciarsi andare senza difese. Quindi, basterà “lasciarsi andare” per godere di un piacevole stato di rilassamento. In gravidanza, l’acqua ha un impatto ancora più piacevolmente profondo ed efficace, anche perché ci si trova già in uno stato di naturale apertura ed espansione.

Il parto in acqua non elimina il dolore, ma generalmente lo riduce a un livello anche molto basso. Anche il bimbo che deve nascere gode di numerosi vantaggi, uno dei quali è l’accoglienza, che avviene in un’atmosfera più distesa e rilassante. Anche in questo caso prevalgono gli aspetti positivi, tuttavia non vanno trascurate nemmeno le difficoltà che potrebbero presentarsi. Un noto ginecologo francese, studioso del parto in acqua – Michel Odent – raccomanda di evitare di pianificare una nascita in acqua in quanto l’opportunità e le modalità di un parto in acqua vanno discusse di volta in volta con il team ostetrico che assiste.

Per una donna incinta, il parto può essere paragonato a un esame da superare. Come ogni esame da affrontare, anche il parto richiede un’adeguata preparazione. Una volta ben preparato, durante lo svolgimento, il parto comporta un certo grado di tensione iniziale e una notevole concentrazione. Inoltre, richiede una quantità di energie fisiche e psicologiche; ma una volta superato, oltre alla stanchezza, sopravviene la soddisfazione e la gioia del risultato ottenuto. Se la donna riesce a trascorrere i nove mesi senza problemi, essa arriva al momento del parto più serena e più sicura, e il parto avrà certamente un esito positivo. Inoltre, preparando se stessa, la donna indirettamente prepara anche il bambino. E’ comunque un momento delicato per entrambi. Bisogna quindi cercare di creare le condizioni migliori affinché esso avvenga nel modo più adeguato. E l’acqua, in questa situazione, può essere di grande aiuto sia per la donna che per il nascituro.

Per la donna, l’acqua favorisce il rilassamento e l’isolamento da stimoli esterni, facilitando così il maggior contatto con la sua parte più intima, con le potenzialità istintive, cioè con le risorse e le conoscenze necessarie per partorire, conoscenze che la donna possiede nel suo bagaglio di informazioni. Partorire, infatti, è un processo fisiologico e non patologico e, come tale, è iscritto nel patrimonio genetico della donna.

L’acqua aiuta quindi la donna a tralasciare la componente razionale e ad abbandonarsi al suo istinto, a quella saggezza primitiva grazie alla quale ella sa ciò che deve fare e come lo deve fare affinché l’esperienza si concluda felicemente.

Per il bambino, il passaggio da un ambiente liquido nell’utero materno a un ambiente acquatico esterno è sicuramente molto più dolce e meno traumatico.

L’acqua assume un significato ancora più profondo se si considera la nascita come un evento sacro.

L’immersione della donna nell’acqua durante tutta la gravidanza e poi durante il travaglio e il parto acquista un valore rituale che favorisce la sua trasformazione spirituale e psicologica. L’immersione può essere vista come la preparazione e la purificazione che precedono la celebrazione del parto, quale evento sacro. Se questo concetto viene realmente compreso dalla donna e da coloro che assistono al parto, allora il bambino sarà accolto in un’atmosfera di rispetto e di solennità.

L’acqua è sicuramente uno strumento di grande valore, di altissima potenzialità durante il travaglio e il parto. Tuttavia la donna non deve sentirsi obbligata a utilizzarla, ma deve fare esclusivamente ciò che si sente di fare, seguendo il suo istinto.

Fase della dilatazione. Un fattore molto importante è la qualità dell’ambiente, che dovrebbe essere il più accogliente possibile, silenzioso, intimo e tranquillo, con poche persone presenti, con un’illuminazione soffusa e un leggero sottofondo musicale.

Il travaglio ha inizio quando vengono prodotti gli ormoni che stimolano le contrazioni uterine. Ogni travaglio ha i suoi ritmi mentre la sua durata complessiva è variabile.

L’esperienza ha dimostrato che il momento migliore per immergersi nell’acqua è quando le contrazioni si fanno più intense e i periodi di riposo più brevi.

L’immersione nell’acqua può dare veramente notevoli vantaggi. Non solo ha un effetto rilassante sollecitando la dilatazione, ma abbrevia anche la durata del travaglio.

La quasi assenza di gravità permette di risparmiare forze ed energie. E’ molto saggio risparmiare le forze sin dall’inizio, con movimenti calmi, respirazione lenta e riposo fra una contrazione e l’altra. Tutto quello che si risparmia all’inizio potrà essere prezioso alla fine. L’acqua non garantisce un travaglio indolore, ma aiuta a minimizzare la sofferenza. La sensazione di calore e il contatto dell’acqua sulla pelle aiutano a modificare la percezione del dolore e a renderlo più sopportabile. La conseguente secrezione di endorfine provoca una sensazione di benessere.

Fra una contrazione e l’altra, l’acqua favorisce il ricupero di energia, aumentando così la probabilità di portare a termine il parto senza alcun intervento esterno.

Anche il bambino contribuisce a stimolare l’inizio delle contrazioni muovendosi durante il travaglio, assumendo così un ruolo attivo. Come la madre, anche il bambino secerne delle endorfine che aiutano a ridurre il dolore, l’ansietà e la paura. La madre, dal canto suo, può parlare al bambino e mandargli dei messaggi rassicurandolo, preparandolo a quanto dovrà ancora accadere e facendogli capire che va tutto bene, dicendogli anche quanto è desiderosa di vederlo. L’influenza è reciproca e talvolta è la madre che viene rassicurata dal bambino !

Fase espulsiva – C’è chi preferisce partorire fuori dall’acqua. Questo è il caso di chi ha una fase espulsiva lunga ed estenuante, oppure della donna che sente diminuire l’efficacia del riflesso espulsivo, a causa dell’effetto distensivo dell’acqua calda e della spinta idrostatica.

Se, invece, la donna si trova nella vasca quando iniziano le contrazioni espulsive, non c’è motivo perché ne esca.

Se il bambino nasce nell’acqua, continua a respirare attraverso il cordone ombelicale. Accompagnato delicatamente verso la superficie, il bambino viene messo a contatto con la madre con il viso rivolto verso il basso per favorire la fuoruscita dai polmoni del liquido amniotico. Il viso deve poi rimanere fuori dall’acqua affinché abbia inizio la respirazione, mentre il corpicino rimane immerso, rendendo così più graduale l’ingresso nel mondo della forza di gravità.

Sia nell’acqua che fuori, è bene non recidere il cordone ombelicale subito, ma attendere che la respirazione polmonare sia completamente stabilita. Si potrà tagliare il cordone quando questo diventa pallido e smetterà di pulsare. Quando non pulsa più, appare sulla superficie del cordone una macchia bianca e piatta, alla distanza di qualche centimetro dall’ombelico del piccino. Si legano le estremità della macchia con un filo di seta e si taglia a metà la macchia, sempre col filo di seta.

Appena iniziata la respirazione, si porta il bambino al seno della madre. Questo avviene in genere spontaneamente, in quanto il bambino nasce con un istinto naturale che lo spinge a cercare il seno della madre. La suzione stimola nuove contrazioni uterine che provocano il distacco della placenta dalle pareti dell’utero, in modo che essa possa essere espulsa assieme alle membrane del sacco amniotico, contrazioni che serviranno a ridurre l’utero alle sue dimensioni primitive. A questo punto la madre può riposare e rilassarsi con il suo bambino fra le braccia.

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IL PARTO CESAREO

Nella vita di ogni donna, il parto è un momento molto delicato che va visto come la fine di un percorso ricco di mutamenti fisici e psichici. Infatti, durante la gravidanza inizia un’interazione fra la gestante e il bambino che sta crescendo dentro di lei.

Nei primi momenti dopo la nascita, sarà molto importante per la donna poter vedere e toccare il suo bambino, per dare inizio con questo primo contatto alla base affettiva della futura relazione.

A volte possono però intervenire situazioni tali da rendere necessario ricorrere alla chirurgia che negli ultimi decenni ha perfezionato tecniche veramente capaci di far fronte anche alle più complicate situazioni.

Il parto cesareo rappresenta l’operazione chirurgica che permette di estrarre il bambino per via addominale, non potendo avvenire per via naturale. Quando esiste l’urgenza al rapido espletamento del parto o quando è controindicata la via vaginale, l’esecuzione del parto cesareo è necessaria e giustificata. E’ comunque una modalità di parto che non sempre può essere decisa in anticipo. Infatti, vi si ricorre a travaglio iniziato se ci si accorge che il bambino non è in grado di affrontare le varie fasi del travaglio e del parto in quanto si notano alterazioni del tracciato cardiotocografico.

In caso di taglio cesareo, si possono scegliere due tipi di anestesia: quella totale o quella epidurale. L’anestesia epidurale si effettua iniettando un analgesico nella parte bassa della spina dorsale. Questa rende insensibile l’addome dall’ombelico in giù, rendendo possibile il contatto precoce madre/bambino, in quanto, restando sveglia, la mamma potrà assistere alla nascita di suo figlio, come avviene nel parto spontaneo. In questo caso la mamma potrà attaccare al seno il suo piccino sin dal primo momento.

Durante l’intervento sarà posto un telo sterile tra lei e il campo operatorio, affinché non possa assistere alle procedure chirurgiche. Anche se si evita lo stato di incoscienza, la donna perde totalmente la sensibilità della zona genitale, creando così un periodo estremamente delicato da attraversare.

Si ricorre all’anestesia totale nei casi urgenti come in presenza di grave sofferenza fetale. Qualunque sia il tipo di anestesia usata, proprio in conseguenza dell’anestesia stessa, nel bambino si potrà notare un aumento della sindrome da stress respiratorio e da depressione neonatale. Il continuo aumento di donne sottoposte al taglio cesareo ha fatto nascere l’esigenza di sviluppare alcune riflessioni sulle implicazioni emotive che un tale evento può comportare. La maggior parte delle donne afferma di non aver mai preso in considerazione durante il periodo della gestazione l’ipotesi del taglio cesareo, sicure che a una buona gravidanza sarebbe seguito un parto naturale privo di complicazioni.

In alcuni casi, il fatto di non aver partecipato all’evento pare abbia creato difficoltà nel riconoscimento del bambino come proprio figlio.

Alcune donne, al primo incontro col bambino, esprimono dubbi riguardo a particolari che fanno parte della fisicità del neonato: la forma del corpo, le dimensioni paiono spropositate rispetto alla capacità contenitiva del proprio ventre.

Questo tipo di parto assume connotazioni di passività, andando ad accrescere il senso di inadeguatezza di molte neomamme.

In certi casi, le donne che hanno vissuto in precedenza un parto naturale definiscono la sofferenza del travaglio e del parto stesso come costruttiva e finalizzata a dare un significato al dolore, in contrapposizione a un vissuto di inutilità relativo al dolore post operatorio. Tutte affermano che con un parto naturale si soffre molto prima, ma dopo si sta subito meglio e si ha più tempo per accudire il bambino.

L’invalidità temporanea che impedisce loro di assecondare questa preoccupazione primaria fa della ripresa della forma fisica l’obiettivo più importante da raggiungere. La convivenza con compagne di stanza che hanno partorito naturalmente induce a confrontare continuamente le proprie difficoltà di accudimento del bambino con la disinvoltura delle altre. Ciò acutizza la percezione di sé come madri temporaneamente inadeguate. Questo le induce a sollecitare una continuità di rapporto con il bambino, continuità che consenta un recupero rapido e compensativo di quanto è andato perso in sala operatoria.

L’allattamento acquista un valore fondamentale nel tentativo di entrare in relazione col neonato. Inoltre si instaura un vero e proprio conflitto tra le esigenze del neonato e quelle della guarigione delle ferite chirurgiche, conflitto che viene vissuto con difficoltà. La necessità di riemergere da uno stato temporaneo invalidante denota il bisogno del ricupero di un qualcosa che è andato perduto o che non è mai stato vissuto. In questi casi, molte donne avvertono una forte esigenza di essere coccolate e nutrite di tenerezze come i loro bambini.

A seconda delle cause che hanno portato all’intervento, anche il travaglio assume una connotazione diversa, Nel caso in cui sorgano complicanze di vario genere, ma che comunque non costituiscano di per sé un pericolo imminente, nella narrazione del travaglio è molto presente la propria sofferenza fisica e l’insofferenza emotiva. Ma nel momento in cui l’incolumità del bambino è minacciata, la sofferenza e l’incolumità della donna stessa sono messe in secondo piano. L’incolumità del nascituro viene ripetutamente sottolineata come preoccupazione primaria e contemporaneamente utilizzata nel processo di accettazione e comprensione dell’intervento chirurgico. In certi casi, il cesareo è considerato il male minore rispetto ad alternative ben più rischiose, come il forcipe o la ventosa.

Dalla comunicazione dell’intervento del cesareo all’intervento effettivo trascorrono diverse settimane che permettono alle donne interessate di immaginare che cosa sarebbe potuto accadere. Tuttavia, il ricovero, che avviene con qualche giorno di anticipo, ha su di loro un effetto tranquillizzante. Anche l’ambientamento nel luogo e la conoscenza del personale contribuiscono a far vivere l’evento con un buon livello di accettazione e tranquillità apparente.

Nel caso di anestesia epidurale, l’assistere coscientemente al taglio induce a vedere i movimenti dei medici; udire le loro comunicazioni procedurali, sentire nominare gli strumenti chirurgici aumenta notevolmente l’ansia della paziente e rende interminabile l’intervento. Inoltre,la perdita progressiva della mobilità degli arti inferiori che questo tipo di anestesia comporta, evoca fantasie angosciose sullo stato di invalidità che si spingono oltre l’atto operatorio. Il residuo di sensibilità tattile, invece, consente di percepire parzialmente il contatto prodotto dall’azione chirurgica. Questo viene considerato fastidioso nella maggior parte dei casi, ma può offrire la possibilità di percepire il momento dell’estrazione-nascita. Comunque il tipo di anestesia condiziona notevolmente i tempi e le modalità del primo incontro col bambino.

L’anestesia totale posticipa questo momento di alcune ore. Il risveglio è connotato da uno stato di confusione accompagnato dalla percezione crescente del dolore. La prima preoccupazione materna è sapere se il bambino stia bene, ma il desiderio di vederlo immediatamente, anche se espresso verbalmente, passa in secondo piano a causa degli impedimenti della fase post-operatoria. Infatti, alcune mamme chiedono espressamente di non incontrare il neonato fino al giorno successivo, perché dichiarano di non essere nella condizione adatta per accoglierlo.

L’anestesia epidurale permette alla madre di assistere all’evento e di vedere il bambino al momento della nascita. Questa condizione non è però vissuta come ci si aspetterebbe. Tutte le donne, infatti, lamentano che l’incontro dura solo pochi istanti in condizioni proibitive per qualsiasi tipo di contatto.

La brevità dell’incontro delude le aspettative delle pazienti sulla possibilità di poter vivere, grazie all’epidurale, alcuni momenti specifici del parto naturale, come l’allattamento al seno e il contatto corporeo.

Le diverse modalità di ricupero dai due tipi di anestesia non determinano però differenze rilevanti in merito al riconoscimento del neonato e alla prima relazione con lo stesso. E’ stato inaspettatamente rilevato che anche le pazienti in epidurale abbiano mostrato incredulità e difficoltà di riconoscimento del bambino come proprio.

Tutte le donne intervistate considerano il primo vero incontro nel primo contatto fisico con il bambino. E’ come se il peso, il calore emanato dal suo corpo e il contatto epidermico costituissero la comunicazione sensoriale privilegiata sulla quale può formarsi la relazione primaria. Dalle affermazioni delle donne emerge, dunque, che questo intervento viene vissuto come privazione di un’esperienza fondamentale, come negazione di aspettative importanti e come ostacolo all’acquisizione del ruolo materno.

Il vuoto incolmabile di un’esperienza mancata, di un’aspettativa delusa o di una fantasia non materializzata è lo spazio nel quale un disagio emotivo importante può rimanere assopito, oppure crescere in seno alla relazione primaria fra la madre e il suo bambino.

Va detto, comunque, che ben venga il parto cesareo solo nei casi in cui è in pericolo l’incolumità della donna o del bambino.

Testo tratto dalla Tesi di Laurea in Psicologia Clinica, sostenuta da Simona Franceschin di Torino.

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