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Inserito il - 30/09/2009 : 10:35:37 Elogio dell'errore
di Fabio Gabrielli
Chi presume di non sbagliar mai, o si comporta praticamente come se nutrisse tale presunzione, non conosce la storia dell’uomo, o, conoscendola, non ha saputo trarne il benché minimo insegnamento.
Poiché codesta storia, sia civile sia scientifica, è tutta una trama di errori di pensiero, di sentimento e di azione, di errori inediti e voluti, di errori individuali e collettivi
[…]
Il vero è per sua natura quietivo; l’errore è invece un lievito ricco di fermenti, suscita nello spirito un’inquietudine, un bisogno di tentare e di fare che non s’acquista se non quando è soddisfatto […]. Esso (l’errore) serve da impalcatura provvisoria all’edificio della verità, da ponte di passaggio alla terra promessa. Ottenuto lo scopo, distruggiamo pure impalcatura e ponte, ma non ci scordiamo i servizi che ci hanno reso. (C. Ranzoli, “La bellezza dell’errore”, in Rivista d’Italia, aprile, 1913)
La ricerca si configura come un processo senza fine, teso a rinvenire problemi, a selezionarli, a formulare ipotesi, a costruire prove, a ricercare errori, a fornire nuove prove, in un processo senza fine, alimentato dallo stupore, dallo sguardo spalancato sul mondo, avido di conoscenza. In questo senso valgono le superbe parole di Einstein: « Chi non è più in grado di provare né stupore né sorpresa, è per così dire morto; i suoi occhi sono spenti». Lo stupore, tuttavia, è autentico e alimenta davvero il desiderio inesausto di conoscere e ricercare quando riconosce l’energia vitale, la forza edificatrice dell’errore. La verità, infatti, non è un possesso dato una volta per tutte, bensì è ricerca inquieta, capace di fermentare lo spirito, di vincerne l’inerzia, la pigrizia, l’ottundimento, attraverso l’errore, il procedere per ipotesi e confutazioni, rimettendo continuamente in discussione tutto ciò che abbiamo acquisito.
Non solo, l’errore ricorda continuamene all’uomo il limite di cui é intessuto fin dall’origine e lo esorta, per usare un’incisiva espressione di Nietzsche, a “ non voler contestare al mondo il suo carattere enigmatico e inquietante”; insomma, a riconoscere l’inesauribile, magmatica, disorientante ricchezza della realtà. L’imperativo conoscitivo ed esistenziale è, dunque, questo: non avere paura dell’errore, perché da esso si originano la tensione al conoscere, il rifiuto di qualunque forma di dogmatismo e, di conseguenza, lo spirito di tolleranza, il riconoscimento della profondità del mondo e della nostra strutturale finitezza.
Leggiamo, in conclusione, queste puntuali riflessioni di Augusto Murri, tratte dal suo Quattro lezioni e una perizia: «Ogni giorno si corregge un errore, ogni giorno si impara a saper meglio quello che possiamo far di bene o quello che siamo condannati ancora a lasciar avvenire di male, ogni giorno erriamo meno della vigilia e impariamo a sperare di far di meglio dimane. Errare, sì. È una parola che fa paura al pubblico […]. L’uomo che non erra non c’è».
Fabio Gabrielli
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