Eccovi un breve pro-memoria che, senza entrare negli aspetti etici di uno stile di vita alimentare basato sullo sterminio massiccio di altri esseri senzienti, si limita ad una riflessione puntuale sulle conseguenze per la salute e l’ambiente dell’alimentazione a base di cibi animali.
1. Il corpo umano non è fatto per assimilare la carne.
La conformazione dei denti, dei muscoli facciali, della mandibola, l’acidità dello stomaco e la lunghezza dell’intestino dell’uomo sono tipiche degli animali vegetariani.
Uno studio di anatomia comparata che non lascia dubbi al riguardo è stato effettuato da Milton R. Mills. [1]
Per poter digerire la carne l’animale carnivoro ha succhi gastrici 20 volte più potenti di quelli del nostro stomaco. L’intestino dei carnivori è corto (da 3 a 6 volte la lunghezza del corpo) per liberarsi presto delle scorie residue della carne. Il nostro intestino, analogamente a quello degli animali prettamente vegetariani, è molto più lungo di quello dei carnivori (fino a 12 volte la lunghezza del corpo). Ed infatti #8232;dopo un pasto a base di carne le tossine degradative provenienti dal catabolismo delle proteine animali rimangono in circolo per un periodo minimo di circa 142 ore, cioè circa una settimana. [2]
2. L’eccesso di proteine è inutile.
Sul fabbisogno reale di proteine necessario all’uomo esistono dati molto discordanti, che variano da fonte a fonte. Eppure basta considerare che, nei primi mesi di vita, il cucciolo dell’uomo costruisce i suoi muscoli, ossa, cartilagini, etc. ad un tasso di crescita così rapido che non eguaglierà in nessun altro periodo della vita. Raddoppia il suo peso della nascita mediamente in 5/6 mesi. E realizza tutto questo soltanto con il latte materno, un alimento che contiene appena l’1% - l’1,5% di proteine. Per inciso, la stessa percentuale di proteine presente nella frutta e nella verdura.
In definitiva nell’alimentazione umana il pericolo non è mai la carenza di proteine (che non esiste e non si verifica nemmeno nei peggiori casi di fame e di carestie), ma l’eccesso delle stesse. Quando si parla di paesi affamati, le carenze sono infatti caloriche, vitaminiche e minerali, mai proteiche. Ed è invece l’eccesso di proteine a flagellare con gravissime patologie le popolazioni dei paesi industrializzati. [3]
3. Il consumo di carne è inutile
Non vi è nessun micro-nutriente utile nella carne che non sia contenuto nella frutta e nei vegetali. Nelle giuste proporzioni, cereali, legumi, frutta fresca e oleosa, ortaggi freschi, verdure di campo e di bosco, alghe marine e alghe verdi azzurre, germogli, fiori, radici, sono in grado di assicurare al nostro organismo tutti i nutrienti necessari.
Persino il rischio di sviluppare problemi di salute a causa di una carenza di vitamina B12 in una dieta vegetariana stretta è estremamente raro, inferiore a una probabilità su un milione. [4]
4. Il consumo di carne è causa di numerose malattie
Da tempo i dati medici ed epidemiologici espongono molto chiaramente che un eccesso di consumo di carni produce malattie cardiovascolari, diabete e tumori.
Gli studi ecologici hanno sistematicamente evidenziato una forte relazione dei principali tumori del mondo occidentale (mammella, colon, rene, ovaie, prostata) con il consumo di carni e di grassi animali [5].
I cibi animali, con il loro apporto di grassi totali, grassi saturi, colesterolo e lo sviluppo di sostanze cancerogene durante la cottura (come le amine eterocicliche) arrecano certamente più danni che benefici all’organismo umano. Il consumo di carne favorisce lo sviluppo di acido solfidrico, che è una delle cause dei danni al colon. Ed infatti nelle culture carnivore occidentali l’incidenza del tumore al colon è dieci volte superiore a quella delle culture vegetariane asiatiche. [6,7,8,9,10]
5. La carne è piena di sostanze chimiche
La maggior parte della carne che arriva sui nostri mercati proviene da allevamenti intensivi. Per evitare che gli animali si ammalino nelle condizioni contro natura in cui crescono, si è costretti a fare un uso massiccio di antibiotici. Inoltre per velocizzare la crescita e massimizzare il profitto, vengono usati grandi quantità di ormoni estrogeni. #8232;
La maggior parte dei polli in batteria non ha mai visto la luce del sole e non vede altro che la luce artificiale per 22 ore al giorno. Gli allevatori zootecnici fanno sì che questi pulcini non smettano mai di alimentarsi e somministrano ampie dosi di sali d’arsenico per stimolare la crescita, al punto che in soli 45 giorni raggiungono le condizioni di pollo maturo che altrimenti avrebbero raggiunto in non meno di 3 mesi.
Tutte queste sostanze chimiche finiscono nel piatto (e nel sangue) di chi si alimenta con la carne.
6. Gli allevamenti di bestiame distruggono il pianeta
L’allevamento di bestiame per uso alimentare è la principale causa di distruzione delle sempre più ridotte aree di foresta pluviale rimaste sulla terra. In Centroamerica e Sudamerica milioni di ettari di foreste vergini vengono abbattuti per lasciare spazio a pascoli per l’allevamento. Per produrre un solo etto di carne vengono distrutti 12mq di foresta tropicale. Nel 1980 fu stimato che il 72% della deforestazione amazzonica in Brasile era volto a ottenere pascoli per il bestiame.
C’è un altro problema: l’inquinamento che tali allevamenti producono. I liquami di origine animale e vegetale prodotti negli allevamenti hanno un potenziale inquinante molto più elevato di quello dei liquami domestici. Nel Regno Unito nel 1996 hanno infatti causato oltre 200 incidenti di inquinamento dell’acqua. [11]
Per l’allevamento si usano grosse quantità di sostanze chimiche (ormoni, antibiotici, fertilizzanti, diserbanti…) che finiscono nelle falde acquifere, inquinandole.
Un esempio in Italia: nel bacino del Po ogni anno vengono versate 190 mila tonnellate di deiezioni animali contenenti ormoni, antibiotici e metalli pesanti. [12]
L’economista Jeremy Rifkin, rifacendosi ad un rapporto della FAO, ha sottolineato come il 18% dei gas ad effetto serra siano imputabili all’allevamento e in particolare:
il 9% delle emissioni di anidride carbonica
il 65% di protossido di azoto
il 37% di metano.
7. Gli allevamenti di bestiame affamano il pianeta
Per allevare il miliardo e mezzo di capi bovini che oggi è destinato al consumo alimentare, si utilizzano migliaia di tonnellate di cereali e legumi che potrebbero essere utilizzati per l’alimentazione umana. Oggi, circa un terzo della raccolta mondiale di cereali è impiegata come mangime per bovini e altro bestiame d’allevamento, mentre circa un miliardo di esseri umani soffrono per la fame e la denutrizione cronica.
E lo stesso accade per il consumo di acqua. Anche se il bestiame utilizza direttamente solo l’1,3% dell’acqua utilizzata in totale in agricoltura, si deve però considerare l’acqua utilizzata per produrre l’enorme quantità di cereali e soia che gli animali consumano. Risulta così che 1 Kg di manzo è stato prodotto impiegando ben 100.000 litri di acqua, cento volte la quantità che serve per produrre un kg di grano. [13]
Come ha osservato il giornalista Mario Tozzi: “per allevare un solo manzo si consuma tanta acqua quanta ne serve per far galleggiare un incrociatore”. [14]
[5] “La prevenzione alimentare dei tumori”, Franco Berrino - Istituto Nazionale dei Tumori
[6] Carcinogen-DNA adducts in human breast epithelial cells. Environ Mol Mutagen. 2002;39(2-3):184-92.
[7] N-Acetyltransferase-2 genetic polymorphism, well-done meat intake, and breast cancer risk among postmenopausal women. Cancer Epidemiol Biomarkers Prev. 2000 Sep;9(9):905-10.
Comments on the history and importance of aromatic and heterocyclic amines in public health. Mutat Res. 2002 Sep 30;506-507:9-20.
[9] Effect of NAT1 and NAT2 genetic polymorphisms on colorectal cancer risk associated with exposure to tobacco smoke and meat consumption. Cancer Epidemiol Biomarkers Prev. 2006 Jan;15(1):99-107.
[10] A prospective study of meat and meat mutagens and prostate cancer risk. Cancer Res. 2005 Dec 15;65(24):11779-84.
[13] - “Water Resources: Agriculture, the Environment, and Society An assessment of the status of water resources” by David Pimentel, James Houser, Erika Preiss, Omar White, et al. Bioscience, February 1997 Vol. 47 No. 2)