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Inserito il - 13/11/2009 : 11:19:27
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Birmania addio
di Terzani Tiziano
Le giovani sono preda dei mercanti per i bordelli thailandesi perchè non ancora malate di Aids. Quando risultano sieropositive vengono rispedite a casa per morire Le vecchie tribù di tagliatori di teste, dopo aver combattuto a fianco della guerriglia comunista, ora coltivano oppio con la protezione delle autorità
KENGTUNG
E’ giusto che i cacciatori di teste rinuncino ai loro pur macabri riti per dedicarsi a quello più innocuo, ma ugualmente disumano, di passare ore ed ore davanti a una scatola chiamata televisione? E giusto che la luce calda ed intima dei lumini ad olio venga sostituita da quella piatt a e bluastra dei tubi al neon? Che lo struggente tintinnare dei campanelli mossi dalla brezza del tramonto in cima ad una pagoda venga affogato dall'urlio di una discoteca appena aperta sulle sponde di un lago, ancora per poco coperto di enormi fogli e di loto? Il “progresso" è ormai arrivato dovunque.
Anche là dove non ci sono strade o aeroporti, una semplice antenna in cima ad un albero basta per captare i seducenti messaggi, i velenosi sogni di modernità; e i posti al mondo in cui si ha anco ra occasione di porsi, pur retoricamente, queste scontate, antistoriche domande sono ormai rimasti pochissimi. Uno di questi è un angolo remoto della Birmania orientale attorno alla città di Kengtung, conosciuta un tempo come la fascinosa capitale de l più grande degli Stati Shan. Per più di mezzo secolo questa regione, a causa delle sue vicende interne e della sospettosa xenofobia dei governi, è rimasta chiusa al resto del mondo e con ciò come bloccata in quella magica bellezza che è delle cose senza tempo.
L'incanto è finito. Un anno fa la regione è stata aperta ed ora, su pressione di Bangkok e Pechino, sta per diventare una zona di passo fra la Thailandia e la Cina, un mercato aperto a tutti i traffici, da quello delle vergini a quello dell'eroina. Uno degli ultimi angoli di indomata natura è stato dato in pasto alla logica del profitto. In un certo modo ho preso parte anch'io a questo stupro; ero in una delle quarantasei macchine della carovana che per la prima volta ha legato vi a terra la città di Chiang Rai nel Nord della Thailandia a Kumming nel Sud della Cina, attraversando la regione di Kengtung; ero nel primo gruppo di occidentali ad attraversare la frontiera fra la zona birmana dei tagliatori di teste Wa e lo Yunnan d alla fine della seconda guerra mondiale. I protagonisti del nuovo colonialismo asiatico non sono più i mercanti ed i condottieri bianchi dell'Europa, ma gli uomini d'affari dei Paesi più avanzati della regione; ad esempio della Thailandia.
Le avang uardie di questo nuovo processo di sfruttamento non sono più i missionari, ma i turisti. La carovana di dieci giorni Chiang Mai Kumming e ritorno era organizzata dall'Ente del Turismo thailandese. I partecipanti, a parte un paio di giornalisti, era no un gruppo di patiti del volante, entusiasti di affrontare gli oltre duemila chilometri di percorso, a volte particolarmente difficile, attraverso una delle regioni più selvagge di questa parte del mondo. “Voi siete dei pionieri. Speriamo che molti altri vi seguano", continuavano a ripetere i funzionari cinesi messi per l'occasione al remoto posto di frontiera di Daluò. L'idea che la Cina e la Thailandia stanno spingendo per aprirsi un passaggio fra le montagne birmane che li separano è quella del “turismo d'avventura" ed è vero che appena uno lascia la strada asfaltata dell'ultima cittadina thailandese, Mai Sai, ed entra a Tachilek, il primo abitato birmano oltre frontiera, le avventure e le sorprese non mancano. La prima è che i birma ni rifiutano di mettere un visto d'ingresso sui passaporti dei “turisti" e preferiscono “confiscare" i documenti.
Ce li restituiranno . dicono . quando si uscirà. Un'altra è che a Kengtung, per far posto ad un nuovo albergo per turisti, l'esercito birmano ha raso al suolo una delle più belle attrazioni della città, il vecchio Palazzo dei Sawbaw, i principi feudali della regione, e che per intrattenere i turisti è stata aperta sulla riva del lago Neung Tung una rumorosissima discoteca dove dell e giovanissime ragazze, molte di appena quattordici.quindici anni, ballano a pagamento con i clienti. Entrando si compra un mazzo di biglietti; ogni mezzo minuto la musica viene interrotta dallo squillo di una campanella; ad ogni squillo si deve cons egnare un biglietto alla ragazza che si è scelto. La discoteca è già diventata un luogo in cui i procacciatori di ragazze per i bordelli thailandesi vengono a scegliere le loro prede. L'idea che queste ragazze, appena adolescenti, non possono essere ancora ammalate di Aids le rende ricercatissime e a migliaia vengono ora portate a Sud. Alcune finiscono per essere delle vere e proprie schiave, prigioniere dei tenutari cui sono state vendute. Moltissime tornano solo per morire, una volta che i tha ilandesi scoprono che sono diventate sieropositive e le rimandano a casa. In ogni villaggio in cui la carovana si fermava ho chiesto notizie di questo traffico; in ogni villaggio mi è stato raccontato di almeno due o tre giovani morte così nell'ultim o anno. Kengtung era una delle più belle città degli Stati Shan. La pagoda principale con i suoi otto capelli di Buddha nel reliquiario e decine di piccole campane di bronzo, tremule all'alto dei pinnacoli, risale ad almeno sette secoli fa; ma quel la suadente, tintinnante presenza nel buio della notte è già un ricordo da rimpiangere.
Le voci e le luci volgari del progresso hanno già soppiantato quelle incantanti della tradizione e del passato. Lattine di birra importata e sacchetti di plastica galleggeranno sempre più numerosi fra degli splendidi fiori di loto sul lago Neung Tung, soggetto di tante leggende, e dove un ristorante su palafitte fa ora concorrenza alla discoteca. Il mercato del mattino a Kengtung è ancora una grande “avvent ura" ancor prima che il sole dissipi la spessa nebbia nella valle, dalle montagne attorno scende la più straordinaria collezione di umanità: donne Akka con i loro cappelli carichi di palline, monete ed i gambali neri; le donne giraffa con i loro gra ndi, spessi collari d'argento; cacciatori Meo coi loro lunghissimi fucili; i Paò, i Karen, i Lisu, i Wa con i loro rudimentali, ma affilatissimi coltelli nei foderi di bambù. Ognuno ha qualcosa da vendere o da scambiare. I turisti prendono tutto.
Ho visto una vecchia donna Akka col suo basto di legno sulle spalle andar via felicissima perchè era riuscita a dare ad un thailandese la sua bella giacca ricamata con disegni geometrici non per un biglietto da 500 bath (25.000 lire) come quello le avev a prima offerto, ma per due biglietti da 100 bath (12.000 lire). Ai suoi occhi due fogli, per giunta rossi, dovevano valere certo di più d'uno violetto! La parte più avventurosa del viaggio comincia dopo Kengtung. La foresta si fa fitta e la strada appena tagliata da dei bulldozer si inerpica per una costa scoscesa. I villaggi attraverso cui si passa sono di belle capanne di legno raggruppate attorno a delle bianchissime pagode. La vita dei contadini che camminano accanto ai loro bufali ha anc ora il ritmo vecchio di secoli: lento e pacifico. Maurice Collins, lo scrittore inglese che viaggiò qui nel 1938 scrivendo un libro sugli Stati Shan ed i loro Sawbaw, I signori del tramonto, come venivano chiamati per distinguerli dai re di Rangun, I signori dell'alba, racconta che ai suoi tempi i contadini si inginocchiavano al passaggio di una macchina perchè non poteva che essere quella di un principe. Le nostre jeep non attraggono altrettanto rispetto, ma la curiosità è tale che la gente ci corre incontro dai campi e dalle case per farsi avvolgere nella nuvola soffocante di polvere che ci lasciamo dietro.
Dopo un paio d'ore si arriva al fiume Ta Ping e la carovana si ferma all'imbocco d'un rudimentale ponte di ferro che lo traversa. Un ufficiale birmano ci restituisce i passaporti. “E qui la frontiera?" chiediamo. “No, mancano ancora una cinquantina di chilometri, ma i controlli vengono fatti qui". La ragione è presto chiara. Dall'altra parte del ponte comincia un territorio che sulla carta è ancora Birmania, ma che in realtà è controllato dai Wa, una tribù di tagliatori di teste che, dopo aver combattuto contro il governo di Rangun a fianco della vecchia guerriglia comunista, ora con l'accordo di Rangun si dedica alla colti vazione intensiva dell'oppio e fa concorrenza al “re della droga", Khun Sa, che opera più a Sud. Per far passare la carovana attraverso i loro posti di blocco, gli Wa fanno pagare una “tassa" di quindici dollari per ogni macchina e chiedono di confis care tutte le macchine fotografiche e quelle video. Dai finestrini che ci è stato ordinato di tenere assolutamente chiusi vediamo sfilare pattuglie di soldati Wa, nelle loro uniformi di fattura cinese come quella dei kmeri rossi e con i loro fucili A 47. Nessuno ci sorride, nessuno fa un cenno di saluto. Sulla piazza centrale di Monglà, l'ultima cittadina in territorio birmano, sventola non la bandiera di Rangun, ma quella tricolore dei tagliatori di teste. Sul tetto di una casa in muratura ve do spuntare una grande antenna parabolica. E l'abitazione di Lin Mingxian, un cinese, ex guardia rossa che ora col beneplacito di Rangun e certo anche delle autorità cinesi dell'Yunnan controlla i Wa ed il loro traffico di droga. La letteratura di viaggio dall'inizio del secolo è piena di strane storie sugli Wa.
Uno dei loro riti più temuti era quello della “fertilità": prima della semina, andavano nottetempo in un villaggio dei loro nemici a tagliare la testa di un bambino da mettere in mezzo ai loro campi. Fra gli Wa che vivono ancora su delle vette remote pare che questo succeda ancora. Non più fra gli Wa “civilizzati" e trafficanti di droga di Monglà. Dal finestrino della macchina vedo in una sorta di caffè che si apre sulla strada un a cinquantina di giovani Wa dinanzi ad un televisore che trasmette qualcosa a colori. Quel che non sono riuscito a vedere sono tracce della droga: non ho visto ad esempio un solo campo di papaveri che ora, data la stagione, sono in piena fioritura. Appena passata la sbarra della frontiera cinese però, uno dei doganieri, indicando una collina, dice: “La raffineria d'eroina? E là, ci siete appena passati". A Daluò quello non è un segreto.
La “avventurosa" situazione serve perfettamente gli int eressi dei vari protagonisti. Lasciando una parte del territorio nazionale in mano ai Wa, il governo di Rangun può pretendere di non essere coinvolto nel traffico della droga, anche se certo riceve una percentuale dei profitti. Lo stesso è vero per i cinesi che possono dire di non avere nè coltivazioni nè raffinerie nella loro giurisdizione, ma che certo hanno un modo per profittare del fatto che l'eroina prodotta dai Wa deve passare attraverso la Cina per arrivare nel resto del mondo, specie ne ll'Europa occidentale.
Dalla frontiera cinese il “turismo d'avventura" viene completamente preso in mano dalle autorità della Repubblica Popolare. Una mezza dozzina di macchine della polizia precedono e seguono il convoglio; in ogni villaggio e cit tà che attraversiamo l'intera popolazione è stata convocata per stare allineata lungo il percorso e per manifestare il proprio “spontaneo" entusiasmo per questo “Rally dell'amicizia". I cinesi contano sull'apertura permanente di questa strada per s pingere i prodotti della loro industria di consumazione verso i Paesi del Sud Est Asiatico e l'India passando per la Birmania. I thailandesi sono ugualmente interessati al legame diretto con la Cina per sviluppare le regioni più depresse del loro Nor d e per espandere la loro influenza sulle zone della Birmania abitate da popolazioni affini ai Thai come gli Shan.
Chi da tutto questo ha da perdere sono gli abitanti di questa zona di passo che non hanno modo di proteggere la loro identità, il lor o modo di vivere, la loro cultura. Non c'è più rito, tradizione o bellezza che resista alla dilagante logica del danaro. Quando la carovana entra nella vecchia città di Kumming, un tempo conosciuta come Yunnan fu, la prima cosa che colpisce è una d imostrazione silenziosa di migliaia di persone davanti alla sede del governo comunista della città. Una dimostrazione per la democrazia? La prima dal massacro del Tien An Men?, mi chiedo scendendo tutto indolenzito dalla macchina. No! I dimostranti p rotestano perchè le azioni di una certa società della città sono state vendute ad Hong Kong a prezzi inferiori a quelli offerti alla gente di qui. Il progresso è arrivato dovunque
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