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Inserito il - 27/04/2010 : 11:03:46
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Reincarnazione e rinascita 2
(di Sri Aurobindo)
- parte seconda -
Se entriamo nei dettagli l’incertezza cresce. La rinascita spiega ad esempio il fenomeno del genio, facoltà innata, e molti altri misteri psicologici. Ma poi arriva la scienza a spiegare tutto tramite l’ereditarietà – sebbene, come quella della reincarnazione, anche questa teoria sia soddisfacente soltanto per coloro che già ci credono.
Senza dubbio le pretese della teoria dell’ereditarietà sono state esagerate in maniera assurda: essa è riuscita a spiegare molto, non tutto della nostra composizione fisica, del nostro temperamento, delle nostre peculiarità vitali. Il suo tentativo di spiegare il genio, le facoltà innate e altri fenomeni psicologici di tipo più alto è un pretenzioso fallimento. Questo può essere dovuto al fatto che la scienza non conosce nulla di fondamentale circa la nostra psicologia, non più di quanto gli astronomi primitivi sapessero della costituzione e delle leggi degli astri, i cui movimenti tuttavia essi osservarono con sufficiente precisione.
Non credo che neanche quando la scienza conoscerà più e meglio essa sarà in grado di spiegare queste cose tramite l’ereditarietà, ma lo scienziato potrà sostenere di essere soltanto all’inizio della sua ricerca e dire che la generalizzazione che ha dato conto di così tante cose potrebbe dar conto di tutto; e dirà che in ogni caso la sua ipotesi era fondata su prove dimostrabili più di quanto non lo fosse la teoria della reincarnazione.
Tuttavia, la tesi del reincarnazionista è sinora una tesi valida e degna di rispetto, sebbene non definitiva. Ma ce n’è un’altra avanzata con più clamore che mi sembra fare il paio con il ragionamento opposto dell’assenza di memoria, almeno nella forma in cui viene di solito avanzato per convincere le menti poco mature. l’argomento etico, per mezzo del quale si tenta di giustificare le vie di Dio con il mondo o il modo in cui va il mondo. Si pensa che ci debba essere un governo morale del mondo, o almeno una qualche ricompensa nel cosmo per la virtù e una qualche punizione per il peccato.
Ma nel nostro incerto e caotico mondo terrestre non sembra esserci una tale sanzione. Vediamo infatti che il buono è oppresso dalle miserie mentre il cattivo prospera e non viene miseramente schiacciato alla fine. Ora questo è intollerabile, è una crudele anomalia che ci induce ad una riflessione sulla giustizia e la saggezza divine ed è quasi la prova che Dio non esiste; dobbiamo porvi rimedio e se Dio non c’è dobbiamo avere delle altre ricompense per la giustizia.
Come sarebbe confortante se potessimo stabilire chi è buono, e persino quanto – non dovrebbe infatti essere il Supremo un ragioniere preciso e affidabile? – giudicandolo in base alla quantità di burro che riesce a mettere nello stomaco, al numero di rupie che può depositare in banca e alla fortuna che lo assiste. E come sarebbe confortante anche se potessimo additare il cattivo smascherato e gridargli: "Tu sei cattivo: se infatti non lo fossi potresti forse, in un mondo governato da Dio, o almeno dal Bene, essere così miserabile, affamato, sfortunato, perseguitato dal dolore, non onorato dagli uomini?
La tua cattiveria è dimostrata dal fatto che sei povero, la giustizia di Dio si compie". Poiché per fortuna l’intelligenza suprema è più saggia e più nobile dell’infantilismo dell’uomo, questo è semplicemente impossibile. Ma c’è un altro modo ! possibile che, se l’uomo buono non è abbastanza fortunato, non possiede abbastanza burro e rupie, egli potrebbe in realtà essere un cattivo che sconta le sue pene – ma un cattivo nella sua vita passata che adesso ha preso un nuovo corso; e se invece un uomo cattivo prospera nel mondo è per via del fatto che è stato buono in una vita passata, il santo di allora essendosi adesso convertito al culto del peccato, forse perché aveva sperimentato la vanità temporale della virtù.
Tutto viene spiegato, tutto viene giustificato. Noi soffriamo per i peccati commessi in un altro corpo, verremo ricompensati in un altro corpo per le nostre virtù attuali, e così andremo avanti all’infinito. Nessuna meraviglia che i filosofi abbiano trovato tutto questo assurdo e proposto come rimedio il liberarsi sia dalla virtù che dal vizio, vedendo come il bene più grande quello di poter in qualche modo sfuggire ad un mondo così assurdo.
Ovviamente questo schema delle cose è soltanto una variazione della vecchia concezione della minaccia e promessa spirituale e materiale, la promessa di un paradiso di gioia per i buoni e la minaccia di un inferno di fuoco eterno e di torture per i cattivi. L’idea della Legge che regola il mondo come dispensatrice di ricompense e punizioni va insieme all’idea dell’essere supremo come giudice, "padre" e maestro che sempre ricompensa con caramelle i bravi bambini mentre punisce con la bacchetta quelli cattivi.
anche vicino al barbaro e insipiente sistema di punizione, talvolta selvaggio e sempre degradante, riguardo alle offese sociali, su cui è fondata una società umana ancora incapace di trovare e organizzare un sistema più soddisfacente.
L’uomo insiste continuamente sul rendere Dio a sua immagine, invece di cercare di rendere se stesso sempre più ad immagine di Dio, e tutte queste idee sono il riflesso del bambino, del selvaggio, dell’animale che è in noi, che ancora non siamo riusciti a trasformare o a sviluppare. Dovremmo meravigliarci di come queste fantasie infantili siano state riprese da religioni filosoficamente profonde come il Buddismo e l’Induismo, se non fosse chiaro che gli uomini non si negheranno il vezzo di trasportare i detriti del loro passato sin nei più profondi pensieri dei loro saggi.
Non c’è dubbio che, dato il rilievo di queste idee, esse debbano aver avuto la loro utilità nell’educazione dell’umanità. Forse è vero che il Supremo tratta l’anima bambina adattandosi al suo infantilismo e le permette di mantenere le sue immagini corporee di paradiso e inferno per qualche tempo, anche dopo la morte del copro fisico.
Forse anche queste idee di dopo–morte e rinascita come occasioni di punizione e ricompensa erano necessarie perché si adattavano alla nostra animalità semi–mentalizzata. Ma a un certo punto il sistema cessa di essere efficace: gli uomini credono nel paradiso e nell’inferno, ma vanno avanti peccando allegramente, affrancati alla fine dall’indulgenza papale o dall’assoluzione finale di un prete, o dal pentimento sul letto di morte on da un bagno nel Gange, o da una morte santa a Benares: sono questi gli accorgimenti infantili per mezzo dei quali sfuggiamo al nostro infantilismo.
Alla fine la mente cresce e mette da parte con disprezzo l’intero armamentario da asilo infantile. La teoria della rinascita come ricompensa e punizione, in termini un po’ più elevati e meno crudamente sensazionali, risulta inefficace. Ed è bene che sia così, poiché è intollerabile che l’uomo con la sua capacità divina continui ad essere virtuoso ai fini di una ricompensa ed eviti il peccato soltanto per paura. preferibile un forte peccatore ad un virtuoso codardo ed egoista, o a un meschino patteggiatore con Dio, c’è più divinità in lui, più capacità di elevazione. In verità, ha detto bene la Ghita:
"Anime povere e misere sono quelle che pensano ed agiscono solo in base a quello che ne ricavano". Ed è inconcepibile pretendere di fondare il sistema di questo mondo vasto e maestoso su queste motivazioni così grette e meschine. C’è una motivo di verità in queste teorie? solo la ragione del bambino infantile. C’è un’etica, ma è soltanto l’etica del fango. Il vero fondamento della teoria della rinascita è l’evoluzione dell’anima, o piuttosto il suo riaffiorare dal velo della materia e il suo graduale ritrovarsi.
Il Buddismo conteneva questa verità nella sua teoria del Karma e dell’emersione dal karma, ma non è riuscito a farla emergere l’Induismo la conosceva anticamente, ma ha sbagliato nel formularla. Ora noi siamo nuovamente in grado di riformulare l’antica verità in un nuovo linguaggio e questo già viene fatto da alcune scuole di pensiero, sebbene le antiche incrostazioni tendano ancora ad attaccarsi ad una saggezza più profonda.
E se questo graduale riemergere è vero, allora la teoria della rinascita è una necessità intellettuale, un corollario logicamente inevitabile. Ma qual è lo scopo di questa evoluzione ? Non la virtù convenzionale o interessata ed il preciso conteggio del bene, nella speranza di una ricompensa materiale proporzionata, ma la crescita continua verso una conoscenza, amore e purezza divine.
Queste cose soltanto sono la virtù reale e questa virtù è la sua stessa ricompensa. L’unica vera ricompensa degli atti di amore è crescere nella capacità e nella delizia dell’amore fino all’estasi dell’abbraccio universale dello spirito e della passione universale; l’unica ricompensa delle opere di giusta Conoscenza è il crescere all’infinito nella Luce infinita, l’unica ricompensa delle opere di giusto Potere è essere sempre più il depositario della Forza divina, quella delle opere pure è di essere sempre più liberi dall’egoismo in una immacolata vastità, nella quale tutte le cose si trasformano e si riconciliano nell’eguaglianza divina. Ricercare altra ricompensa significa restare legati ad una ignoranza sciocca e infantile e persino il considerare queste cose come una ricompensa è segno di immaturità e di imperfezione.
E che cosa dire di sofferenza e felicità, sfortuna e prosperità ? Esse sono esperienze dell’anima nel suo addestramento, aiuti, strumenti, mezzi, discipline, prove – la prosperità è spesso una prova più difficile della sofferenza. In realtà l’avversità, la sofferenza possono essere considerate più una ricompensa della virtù che non una punizione del peccato, poiché sono il più grande aiuto e purificazione dell’anima che cerca di dispiegarsi.
Considerarle semplicemente come il severo premio di un giudice, l’ira di un regnante irritato o persino il risultato meccanico del male significa farsi l’opinione più superficiale possibile dei procedimenti di Dio con l’anima e della legge che regola l’evoluzione del mondo. E cosa dire della prosperità mondana, della ricchezza, della progenie, del godimento esteriore di arte, bellezza e potere ? Buoni se possono essere acquisiti senza perdita per l’anima e goduti soltanto come il fluire della Grazia e della Gioia divina sulla nostra esistenza materiale. Ma cerchiamoli dapprima per gli altri o piuttosto per tutti e per noi stessi solo come parte della condizione universale o come mezzo di avvicinamento alla perfezione.
L’anima non ha bisogno delle prove della rinascita più di quanto abbia bisogno di quelle dell’immortalità. Perché viene un tempo in cui essa è coscientemente immortale, consapevole di sé nella sua essenza eterna e immutabile. Una volta che questa realizzazione si è compiuta, tutte le diatribe intellettuali pro o contro l’immortalità dell’anima cadono come un vano clamore di ignoranza attorno a verità che sono evidenti e sempre presenti [Tato na vicikitsate = egli più non discute]. Il vero, dinamico credere nell’immortalità si ha quando essa diventa per noi non un dogma intellettuale ma un fatto evidente come il fatto fisico del nostro respiro, senza nessun bisogno di essere dimostrato.
Così anche c’è un momento in cui l’anima diventa consapevole di se stessa nel suo movimento eterno e mutevole, allora essa è consapevole delle età passate che costituiscono lo sviluppo attuale del suo movimento, e vede come questo sia stato preparato in un passato ininterrotto; ricorda qualcosa dei passati stati dell’anima, degli ambienti, delle particolari forme di attività che hanno formato il suo modo di essere attuale e sa verso dove si dirige tramite uno sviluppo in un futuro ininterrotto. Questo è il vero dinamico credere nella rinascita e anche qui cessa il gioco delle domande intellettuali; la visione e la memoria dell’anima sono tutto.
Certamente rimane la domanda riguardante il meccanismo di sviluppo e le leggi della rinascita, nelle quali l’intelletto, le sue ricerche e le sue generalizzazioni possono ancora giocare un ruolo. Qui quanto più si pensa e si esperimenta, tanto più l’ordinaria, semplice, nuda idea della reincarnazione sembra di dubbia validità. C’è di sicuro una complessità maggiore, una legge che segue un andamento più difficile, una più complessa armonia delle possibilità dell’Infinito. Ma questa è una domanda che richiede considerazioni più lunghe ed ampie, poiché "c’è una legge sottile in esso": Anur hyesha dharmah.
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