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Inserito il - 05/08/2010 : 12:07:13
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Dilatare gli spazi del cuore, restringere quelli dell'ego
di Fabio Gabrielli
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"L'altro diventa un tu per me, solo se cessa la pura relazione di soggetto - oggetto. Il primo passo verso il tu è quel movimento che 'ritira le mani' e libera lo spazio in cui possa avere libero corso l'autofinalismo della persona"...
"È quel moto che rappresenta il primo effetto della "giustizia" e il fondamento di ogni "amore". L'amore personale comincia in maniera decisiva non con un movimento verso l'altro, ma da l'altro". (Romano Guardini, Persona e libertà. Saggi di fondazione della teoria pedagogica).
Congedarsi da sé per donarsi all'altro è, in fondo, essenzialmente una questione di spazio: dilatare gli spazi del cuore e restringere quelli dell'egoità per accorciare lo spazio che ci separa dal Tu.
Il tortuoso sentiero che conduce dalla dimensione autocentrata a quella allocentrica - rivolta agli altri - impone un "ritirare le mani", che rinviano alla bramosia, al possesso, alla volontà di potenza, per accogliere il Volto dell'altro nella sua nudità, in tutto ciò che ha di fragile, vulnerabile, secondo dinamiche che non tengano conto del mio godimento, dei miei bisogni, bensì di quelli del Tu che mi sta davanti e mi ingiunge: donati a me per quello che sono, nella povertà della mia carne, nella mia finitezza creaturale, ma anche nella mia assoluta irriducibilità!
Ci sono, infatti, forme inautentiche del dono: la prima, è quella astratta in base alla quale proclamo di "donarmi a tutta l'umanità". In realtà, ci si dona ad alcune persone, si amano Volti in carne ed ossa e non un'idea. Insomma, il dono non si configura come una forma di astrazione della mente, non si misura in base alla quantità, alle statistiche, alla mera adesione, talvolta più esibita che vissuta, ad enti, associazioni o varie forme di volontariato, bensì alla sua disinteressata tensione verso un Tu "storico", incarnato. A questo proposito Mounier ha parole superbe: "Io non amo l'umanità, non lavoro per l'umanità. Amo alcuni uomini, e l'esperienza che ne traggo è così generosa che grazie a quella mi sento capace di darmi ad ogni prossimo che traversi il mio cammino".
C'è poi una seconda forma inautentica di amore e di dono di sé: partire dal proprio spazio emotivo, sentimentale, dai propri bisogni affettivi, dagli interessi del proprio cuore, per trarre dal dono un godimento fine a se stesso, con in più la pretesa che l'altro ricompensi affettivamente la rinuncia che abbiamo fatto ad una parte di noi. In realtà, è la gratuità a misurare il dono autentico, maturo: il dono basta a se stesso, non cerca la ricompensa, ma solo l'essere presenziale del tu cui ci si dona. L'unica ricompensa è la gioia che deriva dall'essersi congedati da sé, senza alcun calcolo, per lasciarsi riempire dall'altro, in un fecondo gioco affettivo di Volti. Il dono di sé, "ritirando le mani" dallo spazio, rinunciando all'espansione della propria potenza d'essere per dare voce e senso all'apparire dell'altro, implica necessariamente una robusta etica della responsabilità, che è poi una calda forma d'amore.
Leggiamo, in conclusione, Buber: "Una nuova concreta esperienza del mondo è posta fra le braccia; ne siamo responsabili. Un cane ti ha guardato, tu sei responsabile del suo sguardo; un bimbo ti ha preso la mano, tu sei responsabile del suo contatto; una moltitudine umana si muove intorno a te, tu sei responsabile della necessità […]. L'amore è responsabilità di un Io per un Tu; qui sta quell'uguaglianza, che non può stare in nessun sentimento, tra tutti coloro che amano; dal più piccolo al più grande, dalla persona più fortunata e sicura, la cui vita fu assorbita tutta da una persona amata, a chi per tutta la vita fu inchiodato alla croce del mondo e può usare il prodigio dell'amore per gli uomini".
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