[AmadeuX BiblioForum]
Clicca qui per andare al sito di Audioterapia, Musica ed elementi subliminali benefici
31/01/2025 - 13:04:39
    [AmadeuX BiblioForum]                                     Ip: 18.223.205.73 - Sid: 506220930 - Visite oggi: 38217 - Visite totali: 74.305.474

Home | Forum | Calendario | Registrati | Nuovi | Recenti | Segnalibro | Sondaggi | Utenti | Downloads | Ricerche | Aiuto

Nome Utente:
Password:
Salva Password
Password Dimenticata?

 Tutti i Forum
 Forums e Archivi PUBBLICI
 SUBLIMEN BiblioForum
 LA TEORIA MUSICALE DELLA CRITICA DEL GIUDIZIO 3
 Nuova Discussione  Rispondi alla discussione
 Versione Stampabile Bookmark this Topic Aggiungi Segnalibro
I seguenti utenti stanno leggendo questo Forum Qui c'è:
Autore Discussione Precedente Discussione n. 6533 Discussione Successiva  

admin
Webmaster

8hertz

Regione: Italy
Prov.: Pisa
Città: Capannoli


24676 Messaggi

Inserito il - 05/01/2007 : 12:03:50  Mostra Profilo  Rispondi Quotando
LA TEORIA MUSICALE DELLA CRITICA DEL GIUDIZIO 3


Piero Giordanetti

Kant e la musica


...


7. La piacevole musica da tavola


La musica da tavola, molto apprezzata nel Settecento, è per Kant “cosa ben singolare”, la quale come un rumore lieve mantiene un'atmosfera di allegria generale e favorisce la libera conversazione (CdG, p. 279). Peraltro la musica da tavola non è arte bella: nel suo caso il giudizio di gusto non può esigere universalità, né necessità. La valutazione si riferisce, infatti, solo al piacere da essa prodotto, non certo al Wohlgefallen, al piacere a priori; poiché il soggetto non dedica alcuna attenzione alla composizione e l'elemento matematico non è preso in considerazione, la musica si trasforma in mero rumore dal quale non si può desumere una regolare e ordinata successione di suoni fondata su leggi costanti. Kant non sta affermando che la musica da tavola possa essere rappresentata dal punto di vista oggettivo come fondata su rapporti matematici; la sua peculiarità consiste nello spostare l'attenzione dell'ascoltatore in un'altra direzione. La composizione non è certo il correlato del giudizio sul piacevole. Kant non considera dunque la musica da tavola come il paradigma della musica, ma anzi come arte diretta unicamente al godimento, della quale si può apprezzare il contributo al diletto di una riunione conviviale, all'intrattenimento e all'effimero divertimento, purché renda possibile chiacchierare tra una portata e l'altra. Del resto, nota Kant, la conversazione cui la musica fa da sottofondo non mira alla riflessione prolungata o alla discussione; infatti nessuno vuole assumersi la responsabilità di quel che dice, ma mira solo a far passare il tempo piacevolmente.



Annotazione



Diverse da quella proposta sono le interpretazioni di Nachstheim e Böhme che non inseriscono la musica da tavola solo fra le arti piacevoli, ma ritengono che Kant la consideri anche arte bella. Secondo Nachtsheim la musica da tavola può servire all'uno come piacevole intrattenimento, all'altro può piacere per la sua forma (ed entrambi i casi sono legittimi) e per un terzo può avere una finalità in relazione a un dialogo. Per colui il quale desidera intrattenersi è naturalmente contraria allo scopo, ma valutabile proprio in relazione a rapporti di mezzo-fine. Un aspetto particolare consiste poi nel fatto che si può avere, in modo del tutto generale, lo scopo di procurarsi qualsiasi tipo di piacevolezza; anche la musica da tavola è quindi, come musica piacevole, finalistica relativamente a questo scopo e in tal modo condizionatamente rilevante sotto il profilo pratico (Nachtsheim 1997, p. 30 e nota 93). Böhme nota che la musica da tavola rientra in un contesto che noi oggi chiameremmo “design”; sono assenti a suo avviso in questo paragrafo una distinzione chiara fra arte e mestiere e soprattutto un concetto chiaro di arte autonoma. Sebbene le arti belle siano distinte dalle arti piacevoli, non sembra derivarne che il prodotto di un'arte piacevole non sia bello ma semplicemente piacevole; la libertà dal concetto di scopo tipica del bello può essere mantenuta completamente anche se il bello è utile alla socievolezza: la musica da tavola è un esempio di bellezza piuttosto che di piacevolezza (Böhme 1999, p. 22). La distinzione fra arti belle e arti piacevoli non è dunque riuscita nel caso della musica da tavola, la quale può essere valutata anche nella sua bellezza; ciò dipende dalla distanza, dal fatto che non si provi piacere immediato, ma piacere riflesso (Böhme 1999, p. 35).



8. Genio, gusto e musica



A differenza del paragrafo precedente che ci prospettava un tipo particolare di musica inserendolo nel novero delle arti piacevoli, il paragrafo 48 offre la possibilità di mostrare come la musica sia arte bella, arte del genio e del gusto contemporaneamente. La presenza del gusto e di una forma bella non assicura che ad essa si accompagni il genio e che siamo di fronte a un'arte bella; un servizio da tavola, una dissertazione morale e una predica, che sono prodotti dell'arte meccanica o della scienza, sono realizzati secondo regole determinate che possono essere apprese e si possono seguire rigorosamente; tuttavia, possono avere una forma solo piacevole o anche una bella forma artistica. A questa forma si assegna però solo il valore di veicolo della comunicazione e di stile dell'esecuzione; la forma è dotata di una certa libertà che la avvicina alla libertà dell'arte geniale, ma rimane pur sempre legata a uno scopo determinato. Siamo di fronte, in questi casi, a prodotti del gusto non a prodotti del genio.

Una musica, una poesia, una pinacoteca si inseriscono, invece, a pieno titolo nella categoria dell'arte bella perché in esse il gusto e il genio possono coniugarsi e dare luogo a un prodotto veramente artistico. Anche nella forma della musica, quindi, come in tutte le altre arti, è presentato un concetto comunicabile universalmente; anche la musica è “la bella rappresentazione di una cosa”, la cui bella forma è dovuta al gusto affinato ed esercitato dall'artista sulla base dei numerosi esempi incontrati nell'arte e nella natura. La bella forma di una composizione dipende dunque dal gusto e non dall'ispirazione o dal libero slancio delle facoltà dell'animo; può essere solo il risultato di un lento e faticoso perfezionamento, in cui la forma si adegua al pensiero senza recar pregiudizio al libero gioco delle facoltà dell'animo (cfr. CdG, pp. 285-286).

9. L'arte del bel gioco delle sensazioni



Sia la bellezza naturale sia la bellezza artistica possono essere definite “espressione di idee estetiche”; mentre però nell'arte bella l'idea estetica presuppone il nesso con un concetto dell'oggetto, nella bellezza naturale è sufficiente la riflessione su di un'intuizione data a risvegliare e a comunicare l'idea estetica di cui l'oggetto è l'espressione. Se nel paragrafo 42 la bellezza naturale era un linguaggio cifrato della natura interpretabile solo grazie a un interesse intellettuale, ora si chiarisce che questo linguaggio esprime idee estetiche, non solo idee intellettuali. Lo sviluppo ulteriore di questa definizione della bellezza, naturale e artistica, si avrà nel paragrafo 59.

Precisata questa definizione dell'arte bella Kant delinea una tripartizione fra le arti avvalendosi di un ragionamento per analogia. Gli esseri umani esprimono e comunicano non solo i loro concetti, ma anche le loro intuizioni e le loro sensazioni grazie alla parola, al gesto, al tono, ovvero con l'articolazione, la gesticolazione e la modulazione; analogamente le arti belle, che sono espressione delle idee estetiche, possono essere suddivise in arti della parola come poesia ed eloquenza, arti del gesto come le arti figurative e arti del suono come la musica e l'arte dei colori. Certo, questo abbozzo di una possibile divisione delle arti belle non dovrà essere considerato una vera e propria teoria, ma uno degli svariati tentativi che è lecito e al contempo doveroso compiere (CdG, p. 294).

Vi è, infatti, anche una seconda possibilità di suddivisione a carattere dicotomico: l'arte bella può essere articolata al suo interno secondo l'espressione dei pensieri oppure delle intuizioni e l'espressione delle intuizioni, a sua volta, nell'espressione della loro forma oppure della loro materia. Kant non si sofferma però su questo secondo criterio, esaminata nel corso delle lezioni di antropologia.

L'argomentazione si richiama alla problematica esposta nel paragrafo 14 e non affronta il tema della produzione della musica, ma solo quello della sua valutazione. Al centro della parte dedicata alla musica nel paragrafo 51 è il problema della bellezza dei suoni singoli, non solo di quelli semplici e puri. Sebbene la definizione delle arti belle e la loro suddivisione sia stata appena condotta nel senso dell'espressione delle idee estetiche che presuppongono un concetto dell'oggetto, nei capoversi che affrontano direttamente l'arte musicale l'aspetto della produzione artistica non è presente, in quanto essi mirano ancora alla valutazione da parte del gusto. L'analisi dal punto di vista della produzione sarà ripreso, dopo il paragrafo 48, nel paragrafo 53.

Quale “status” si può assegnare alla musica nel contesto delle arti? La questione che ancora una volta si prospetta come una difficoltà per una critica trascendentale del gusto deriva dal fatto che la musica è connessa con sensazioni e impressioni nelle quali il soggetto sembra essere meramente passivo. La musica è solo un'arte piacevole o può essere annoverata fra le arti belle? È possibile dimostrare l'esistenza di un principio a priori, e quindi universale e necessario, del giudizio di gusto sui suoni? Comparata con i documenti della genesi dell'opera nei quali non si evidenzia alcuna indecisione dell'autore, questa problematica è completamente nuova. Mentre nelle fasi precedenti non è espresso alcun dubbio sull'appartenenza della musica alla cerchia delle arti belle, questa localizzazione nel sistema delle arti diventa problematica nella terza Critica. Rimanendo fedele allo spirito e al principio di un esame privo di pregiudizi, del quale si era dichiarato debitore nei confronti di Hume già negli anni Settanta, Kant passa in rassegna sia le motivazioni a sostegno della tesi della bellezza, sia le argomentazioni che potrebbero giustificare quella della piacevolezza (cfr. AA XXIV, p. 217).



9.1. Perché la musica è un'arte piacevole?



Soffermiamoci dapprima sulle ragioni che potrebbero indurci a definire la musica un'arte meramente piacevole.

Dal punto di vista della loro struttura fisica i suoni sono vibrazioni e oscillazioni dell'aria che si susseguono molto rapidamente l'una all'altra. Come nel paragrafo 14, si riprende anche qui la teoria di Euler sulla natura del suono, né si formula alcun dubbio sul fatto che essa sia adeguata al suo oggetto. Come già nel paragrafo 14, l'elemento fondamentale per una critica del gusto non è la considerazione della struttura fisica del suono musicale, ma la soluzione del problema se le vibrazioni siano percepite dal senso dell'udito come partizioni del tempo e se esse permettano una valutazione estetica del bello. Se nel paragrafo 14 si afferma che è determinante stabilire se l'animo sia in grado di distinguere le vibrazioni, ora si ribadisce che le vibrazioni dell'aria si susseguono così rapidamente che non si può escludere che l'animo abbia difficoltà a percepirle e a distinguerle l'una dall'altra. Nelle fasi precedenti si ammetteva con sicurezza che l'animo avesse la facoltà di cogliere con la sua attenzione sia la proporzione fra i suoni, sia la proporzione interna a ogni singolo suono e che ciò rendesse possibile il giudizio sul bello. Solo nella Berliner Physik si afferma che le onde si susseguono con tale rapidità che la loro differenza non può essere percepita. Ora Kant si esprime con maggiore prudenza: come nel paragrafo 14 egli non si decide né per la risposta affermativa, né per quella negativa, ma si chiede se questa facoltà del senso dell'udito possa essere effettivamente dimostrata. Prospetta l'ipotesi che l'incapacità dell'udito di connettere l'effetto delle vibrazioni sulle sue parti elastiche con la percezione della partizione del tempo condurrebbe necessariamente all'inserimento della musica fra le arti piacevoli; non si esclude che l'udito possa rivelare una simile incapacità. Ciò non è però sufficiente per identificare la posizione di Kant con quella di Herder come vorrebbe Zeuch: “Il criterio per decidere che nel singolo suono sia contenuto di più che in tutti i rapporti fra suoni, e nell'armonia, è il grado della vibrazione interna e quindi la sensazione soggettiva. Il modo della sensazione decide le differenze nella percezione acustica, se si tratti di percezioni del suono oppure del suono interno” (Zeuch 1996, p. 236). Questa sarebbe secondo Zeuch la posizione di Herder: Kant compare come colui che ha inteso la musica come una specie di movimento dell'aria. Per Herder la soggettività del suono ha un significato positivo, per Kant essa è mera empiricità (Zeuch 1996, nota 34, p. 236).

Nel paragrafo 14 il dubbio espresso nella parentesi non riguarda l'ipotesi della struttura fisica delle sensazioni acustiche, ma la loro valutazione estetica; nel paragrafo 51 Kant non si pone la domanda se la spiegazione fisica da lui prospettata in accordo con Euler sia esatta, ma se l'animo sia in grado di distinguere le vibrazioni. Se, infatti, si pensa alla rapidità delle onde sonore che verosimilmente supera di molto la nostra capacità di valutare immediatamente, nella percezione, la proporzione delle divisioni del tempo, si dovrebbe affermare che sentiamo soltanto l'effetto che le vibrazioni provocano sulle parti elastiche del nostro corpo, ma non avvertiamo né valutiamo la divisione del tempo, e concludere quindi che i suoni siano meramente piacevoli (cfr. CdG, p. 298).





9.2. Perché la musica è un'arte bella?



Passiamo ora alle motivazioni che ci autorizzerebbero a considerare la musica un'arte bella. Qui si tratta di dimostrare che la percezione della successione delle impressioni da parte dell'animo è possibile. Se a dimostrazione della piacevolezza fu addotta l'impossibilità del realizzarsi della riflessione ora il filosofo che intende fondare il concetto della bellezza si trova posto di fronte al compito di coniugare bellezza e riflessione. Come prima prova a favore della bellezza della musica Kant propone la considerazione che le proporzioni fra vibrazioni e onde sonore hanno carattere matematico e che il giudizio è in grado di coglierle nella percezione (cfr. CdG, p. 298). La nostra facoltà di giudicare la proporzione della partizione temporale immediatamente all'atto della percezione delle vibrazioni dell'aria si palesa esistente al di là della capacità del senso dell'udito di ricevere le impressioni necessarie ad acquisire concetti degli oggetti esterni. L'udito è capace d'una peculiare sensazione legata alle impressioni a proposito della quale non si riesce a decidere realmente se trovi il suo fondamento nel senso o nella riflessione (cfr. CdG, p. 297). Il senso dell'udito possiede dunque sia la facoltà di essere colpito da impressioni operanti nell'ambito della conoscenza, sia una sensibilità nella quale la conoscenza non gioca alcun ruolo. Il paragrafo 14 ha già chiarito che il vero e proprio oggetto del giudizio di gusto sulla musica è, propriamente, la composizione; di questo punto sarà dato un approfondimento nel paragrafo 53. Nel paragrafo 51 l'elemento matematico compare solo in funzione di strumento atto a risolvere il problema della bellezza; sin qui si è dimostrato che la musica deve essere designata arte bella in quanto il rapporto fra diversi suoni è in realtà fondato su proporzioni matematiche che l'udito può percepire.

Rimane però ancora irrisolto se anche i suoni musicali singoli possano essere considerati belli e se la musica possa essere considerata nel suo insieme, anche relativamente ai singoli suoni e non solo alla loro proporzione, un'arte bella. Mentre finora l'argomentazione si è servita del concetto di forma, ora la critica trascendentale del gusto deve confrontarsi con un fattore di per sé empirico, con la materialità delle singole sensazioni acustiche: si passa così dalla struttura matematica delle onde ad altre tre motivazioni. Questa struttura bipartita dell'argomentazione di cui si trovano forme preparatorie, in parte, nei documenti della genesi è passata per lo più inosservata e non ne sono stati indagati i fondamenti.

Per quale motivo la prima motivazione, l'elemento matematico, è contrapposta ad altre tre ragioni? La ripartizione è meramente casuale oppure corrisponde a una strategia precisa?

Questa forma di fondazione pone l'interprete di fronte a una struttura dicotomica in base alla quale la seconda motivazione si articola, al suo interno, in tre ulteriori argomentazioni. Si deve tener conto, in primo luogo, che vi sono casi, seppur rari, di esseri umani che, pur essendo stati dotati dalla natura di un udito finissimo, non sono in grado di discernere le note musicali, differenziando così il mero suono [Schall] dal suono musicale [Ton]. Come nella prima motivazione l'attenzione dell'animo alla proporzione dei rapporti numerici era assunta a dimostrazione di una particolare sensibilità non riconducibile all'uso normale del senso dell'udito a scopi conoscitivi, così ora si fa riferimento a un'ulteriore peculiarità di quel senso: è rilevante che, oltre alla ricettività per le impressioni necessaria a ottenere concetti degli oggetti esterni, l'udito provi una sensazione particolare di cui talvolta si deve constatare l'assenza in soggetti nei quali il senso, in relazione al suo uso nella conoscenza di oggetti, non è affatto carente, ma anzi è superiore alla norma. Come prima la sensazione particolare era designata merkwürdig, così ora è merkwürdig la sua assenza. Kant descrive quindi tre diverse funzioni dell'udito: grazie all'orecchio percepiamo normalmente in modo passivo impressioni che poi sono utilizzate per formare concetti degli oggetti nella conoscenza; a differenza dell'udito della persona normale, un orecchio musicale percepisce rapporti matematici fra le vibrazioni sonore e ha quindi una sensazione dell'ordine; un orecchio straordinariamente fine nella sua funzione può non essere dotato di alcuna capacità di discernere la musica dal mero rumore. La prima funzione è normale e non suscita alcuna meraviglia nel filosofo trascendentale che la indaga in una Critica della ragion pura, la seconda e la terza sono invece casi eccezionali che meritano l'attenzione meravigliata del filosofo trascendentale in una Critica del Giudizio estetico, perché dimostrano che il giudizio di gusto non si può ridurre al mero godimento dei sensi, e che il Wohlgefallen per i suoni implica una riflessione sulla forma; anche ammesso, infatti, che il senso dell'udito sia straordinariamente sviluppato e possa perfettamente svolgere la sua funzione in quanto senso esterno ad uso della conoscenza, ciò non è ancora motivo sufficiente per affermare che sia anche in grado di percepire la differenza fra il rumore e un suono musicale. Joseph Green e una famiglia inglese sono gli esempi concreti cui l'autore pensa, come emerge da una lettera a Christoph Friedrich Hellwag del 3 gennaio 1791.

Qui è di nuovo rilevante la distinzione che Kant ha ripreso da Euler fra Ton e Schall: il semplice Schall può anche rivelarsi rumore e non vero e proprio Ton musicale esprimibile attraverso una nota e oggetto di un orecchio musicale, il Ton è suono in cui sia presente ordine, che comprende armonia e durata.

A favore della tesi della bellezza della musica si possono addurre ancora due considerazioni: se coloro che sono in grado di distinguere i suoni dal rumore percepiscono un mutamento di qualità e non solo un mutamento del grado della sensazione a seconda delle diverse intensità sulla scala dei suoni e se il numero delle vibrazioni corrispondente ad ogni singolo suono può essere determinato in base a differenze concettuali, si può dedurre che i suoni non sono mere sensazioni individuali e passive, ma un'attiva riflessione sulla forma. Questi due punti esprimono il medesimo concetto sotto angolature diverse; mentre il terzo punto è riferito al senso dell'udito e affronta il problema sotto il profilo del soggetto, il quarto rinvia all'oggetto percepito e considera l'aspetto oggettivo. Günther Jacoby scrive: “Kant identifica quest'ultimo problema (se nel singolo suono sia presente una molteplicità che procura alimento alla conoscenza teoretica) con il problema, se nel singolo suono siano contate le vibrazioni [...]” (Jacoby 1907, p. 298). Non si tratta, però, di un'identificazione di due problemi, ma di due aspetti di un solo ed unico problema. Dal punto di vista oggettivo si pone, infatti, il problema di determinare quale sia la struttura di un singolo suono. Dal punto di vista soggettivo si riflette sulla forma della percezione del singolo suono. Che le vibrazioni siano contate dall'udito non corrisponde inoltre alla teoria di Kant, il quale non ha ammesso la possibilità di contare le vibrazioni, ma solo la possibilità di percepire la differenza fra le vibrazioni. È quindi errata anche la tesi di Jacoby per la quale la molteplicità delle vibrazioni nel suono singolo procuri materiale alla conoscenza teoretica; quest'ultima non è l'oggetto della trattazione dell'arte bella e del gusto.

Nella Critica della ragion pura la forma intensiva aveva la preminenza sulla forma della qualità perché di natura categoriale, non sensibile; nell'Estetica trascendentale si introduce il concetto di un senso esterno che non coincide né con i singoli cinque sensi legati ai corrispettivi organi, né con un concetto generale di questi sensi. Il senso esterno è una disposizione dell'animo che rende possibile il riferimento a qualcosa außer uns grazie a determinati organi corporei. Ai cinque sensi, ai sensi esterni è riconosciuta solo la capacità di ricevere impressioni poiché non sono una vera e propria disposizione dell'animo, ma sono situati nel corpo. L'animo è a fondamento sia del senso esterno sia del senso interno e quindi non è situato né nello spazio né nel tempo, ma rende possibile gli oggetti grazie allo spazio e al tempo. Si traccia una linea di separazione fra gusto interpretato come senso esterno e non come facoltà di giudizio del bello e colori da un lato, e spazio dall'altro; questa contrapposizione tende a dimostrare che lo spazio è l'unica rappresentazione del soggetto correlata a qualcosa di esterno che si possa definire a priori (cfr. AA IV, p. 34). Mentre lo spazio, inteso come condizione degli oggetti esterni, rientra necessariamente nel fenomeno o nell'intuizione, gusto e colori non sono rappresentazioni a priori, ma si fondano su sensazioni. Il gusto si può ricondurre al sentimento di piacere e dispiacere che è a sua volta da intendersi come un effetto della sensazione; il gusto di un vino non rientra nelle determinazioni oggettive del vino e quindi in un oggetto considerato come fenomeno, ma nella specifica natura del senso per il soggetto che ne gode. Come il gusto neppure i colori sono proprietà dei corpi e della loro intuizione, ma solo modificazioni del senso della vista che derivano dal fatto che essa è colpita “in un certo modo” dalla luce: vi è quindi un processo di affezione da parte della luce e i colori scaturiscono solo da questo processo. Né il gusto né i colori sono condizioni necessarie alle quali gli oggetti possono diventare per noi oggetti dei sensi ma sono effetti dell'organizzazione connessi in modo puramente casuale con il fenomeno (cfr. AA IV, pp. 34-35).

Questa differenza fra spazio e colori, fra spazio e gusto, la separazione fra validità a priori e ricettività meramente empirica e passiva di impressioni esterne si può applicare anche ai suoni. Anche ai suoni è negata la caratteristica dell'a priori, poiché anch'essi agiscono sul sentimento di piacere e non meritano quindi che altro si attribuisca loro se non una validità soggettiva e individuale. Quando si afferma che i colori sono modificazioni del senso della vista, si potrebbe dire analogamente che i suoni sono modificazioni del senso dell'udito che è colpito in un certo modo dal suono [Schall]. Equiparazione e integrazione sicuramente giustificate se si pon mente al fatto che in questi anni l'autore sosteneva il parallelismo fra colori e suoni, come si può ricavare da un confronto con le Riflessioni e le Lezioni. Non affrontiamo qui il problema speculativo relativo all'origine del materiale offerto dai sensi dell'udito e della vista; ci limitiamo a segnalare che Kant propone sia il concetto di cosa in sé sia il concetto di affezione da parte della luce (ed eventualmente anche del suono).

Questa concezione è mantenuta nella seconda edizione della Critica della ragion pura in cui è espressamente applicata al senso dell'udito. Nell'Estetica trascendentale, la spiegazione trascendentale del concetto di spazio assegna allo spazio soltanto il titolo di rappresentazione soggettiva, riferita però a un oggetto esterno, che possa essere dotata di validità a priori: oltre allo spazio non esiste alcun'altra rappresentazione soggettiva riferita a qualcosa di esterno che si possa designare oggettiva, perché da nessun'altra rappresentazione se non dall'intuizione dello spazio si può derivare un principio sintetico a priori. Sebbene abbiano in comune con lo spazio l'appartenenza alla natura soggettiva del senso, vista, udito, tatto e le loro sensazioni, colori, suoni e caldo o freddo, non hanno alcun carattere di “idealità”, perché non conducono alla conoscenza di alcun oggetto (cfr. AA III, p. 56).

L'udito come senso esterno può provare sensazioni che mai potranno innalzarsi a una validità universale e necessaria; tali sensazioni sono separate dall'intuizione pura e dalle sue forme da un abisso incolmabile. La prima edizione non affronta il tema della natura fisica dei colori e dei suoni; analogamente, nella seconda edizione, i suoni non sono ricondotti a una successione regolare di vibrazioni dell'aria, ma rimangono mere sensazioni individuali. L'ipotesi di Euler non viene presa in considerazione e le singole sensazioni acustiche rimangono semplice materia.

Nel capitolo della Critica della ragion pura dedicato alle anticipazioni della percezione è compiuto però il tentativo di indagare le condizioni a priori della materia dei sensi. La dimostrazione si snoda nel 1787 a partire dal concetto, ancora assente nel 1781, della coscienza empirica che presuppone sempre la datità di sensazioni. Il reale della sensazione è ciò che ha una grandezza intensiva e di conseguenza è determinabile a priori. La sensazione di per sé non è una rappresentazione oggettiva; con le forme intuitive dello spazio e del tempo all'intelletto non è ancora dato nulla di effettivo, né alcun oggetto; è quindi impossibile avere un'intuizione spazio-temporale della sensazione.

Poiché nella Critica della ragion pura la sensazione è dotata di grandezza intensiva, di un grado, è però certo che essa abbia una relazione con qualcosa di esterno che in un secondo momento può essere determinato nello spazio e nel tempo e trasformato in un giudizio conoscitivo; l'idealismo, che nega l'esistenza di una realtà al di fuori del soggetto, è così confutato. Nella discussione delle anticipazioni della percezione si richiama l'attenzione sulla differenza tra grado e qualità della sensazione. Sebbene la qualità, ad esempio, un colore, il gusto del palato, un suono, sia semplicemente empirica è possibile tuttavia averne una conoscenza a priori. Kant propone un concetto di “anticipazione” che riguardi la quantità intensiva, il grado della qualità. Ogni sensazione e ogni realtà che le corrisponde nel fenomeno, per quanto piccole, hanno sempre un grado, una grandezza intensiva che può essere ancora diminuita; fra la realtà e la negazione si snoda una scala continua di realtà possibili e di possibili percezioni più piccole. Ogni colore, ad esempio, il rosso ha un grado che per quanto sia piccolo non è mai il più piccolo in assoluto (cfr. AA IV, p. 117). Grazie al principio dell'anticipazione delle percezioni la qualità può essere determinata da una sintesi matematica; alla qualità possono essere applicate grandezze numeriche che la determinano come grandezza. Nella prima Critica l'analisi inizia dalla sensazione che è designata empiricamente data; le anticipazioni introducono una struttura formale del contenuto della sensazione che si può definire qualità in generale.

Non può, dunque, sorprendere che anche nella terza Critica sia proposto il tema della fondazione a priori di un giudizio sul grado della qualità: il problema che deve essere risolto è, infatti, il rapporto fra l'a priori del giudizio estetico e la sensazione. Il senso dell'udito rivela di possedere una sensibilità [Affektibilität] che non può essere derivata dai sensi e non ha alcuna funzione nel dominio della conoscenza, non offrendo alcun tipo di conoscenza. Sebbene la qualità del suono e le sue modificazioni non possano certo essere oggetto di una determinazione categoriale da parte dei princìpi sintetici dell'intelletto puro, dal momento che generano piacere estetico, l'udito rivela una spontaneità che è designata con il termine “riflessione” e si esplica come la percezione di una modificazione della qualità che la conoscenza non sarebbe mai in grado di compiere; la riflessione estetica non coglie a priori solo il grado, ma anche la qualità della sensazione singola, perché un orecchio musicale non percepisce solo un mutamento di grado della sensazione acustica, ma anche un mutamento di qualità nelle diverse tensioni della scala musicale. Il mutamento di qualità è dunque la differenza fra i suoni sulla scala musicale. Se spostiamo l'attenzione sull'oggetto, notiamo che i suoni non si offrono alla percezione solo come sensazioni caratterizzate da un grado, perché sono una successione di singole vibrazioni dell'aria e a questa struttura fisica corrisponde una particolare struttura matematica. Un suono è dunque sia un movimento ondulatorio dell'aria, sia una proporzione matematica fondata sui rapporti fra le vibrazioni dell'aria. Il suono è, in una critica trascendentale del giudizio estetico, il correlato di un giudizio risultante da un'attività della riflessione che realizza l'unificazione del molteplice. Nella Critica del Giudizio il punto di partenza è dato dal singolo suono e dal singolo colore, considerati dapprima semplici attrattive prive di bellezza autentica; qualità e grado sono posti sullo stesso piano, perché riguardano il senso esterno dell'udito e quindi la sensibilità. Se ciò è corretto, la percezione del mutamento di una qualità rientra nell'orizzonte generale della Critica del Giudizio estetico e la differenza rispetto alla prima Critica può essere compresa notando che nello scritto del 1790 si cerca un principio per la giustificazione della legalità del particolare, mentre nella prima Critica questo problema non emerge. Nella prima Critica non è possibile assicurare alla qualità una determinazione formale, perché le anticipazioni possono conferire una validità a priori solo alla qualità in generale, ma non alla qualità della singola sensazione. Questa argomentazione si trova forse in aperta contraddizione con il paragrafo 14 e l'introduzione dei suoni puri? Wieninger crede che Kant ora capovolga la sua dimostrazione: dapprima avrebbe negato la qualità e la avrebbe sostituita con la forma e la sua struttura stabile, ora la qualità diverrebbe causa delle differenze graduali nell'organo di senso che dovrebbe essere fondata nella riflessione (si veda Wieninger 1929, p. 45). Ciò che Wieninger ritiene una contraddizione è, a mio avviso, un progresso della dimostrazione: ora si cerca di determinare come l'animo percepisca i singoli suoni grazie alla riflessione. In un orecchio musicale si determina, invece, la percezione d'una variazione qualitativa e non solo del grado della sensazione, a seconda delle diverse intensità sulla scala dei colori e dei suoni (cfr. CdG, p. 298). Sullo sfondo di queste due argomentazioni si trovano ancora le considerazioni del paragrafo 14 sulla percezione del suono singolo e la sua struttura fisica e quindi le tesi di Euler sui limiti entro i quali ci è possibile percepire i suoni.



Annotazione



A Cohen non è sfuggito questo punto: “i suoni devono diventare forme pure. Per questo motivo deve essere valorizzato il concetto della grandezza intensiva ovvero del grado […]. Il suono indica il grado di tensione dei sensi [...]. La tensione fa emergere la Stimmung presente nella sensazione accanto al contenuto qualitativo. Il senso non è stimolato semplicemente e in modo indeterminato. Le tensioni si possono ricondurre a gradi. I gradi sono grandezze intensive, sono valori fissabili matematicamente. La sensazione non è quindi soggettiva e imprecisa perché designa il sentimento, ma diviene accessibile a determinazioni oggettive di misura. Di conseguenza si può produrre anche una proporzione sulla quale si fondi il bel gioco, l'arte. Il grado che qui determina come grado di tensione il nuovo concetto del suono, significa quindi qualcosa di diverso dal grado della grandezza intensiva nel principio delle anticipazioni della percezione. Perché questo grado usuale costruisce il reale della sensazione e in esso i valori fisici reali. Esso concerne quindi proprio le qualità nelle quali consiste il contenuto oggettivo dell'oggetto. Qui però il grado come grado della Stimmung non concerne l'oggetto, ma a differenza di questo deve spiegare esclusivamente le differenze nell'elemento soggettivo della sensazione-sentimento” (Cohen 1889, pp. 313-314). Cohen connette l'orizzonte delle anticipazioni a quello della teoria dell'arte: “Se ora la matematica è connessa in qualche modo con le sensazioni dei colori e dei suoni, essi non possono rimanere mere sensazioni in base al linguaggio trascendentale, ma diventano una specie di intuizione” (Cohen 1889, p. 312). Klemme distingue la determinazione matematica dei rapporti armonici fra i suoni nel piacere estetico per la musica dai veri e propri giudizi conoscitivi che sono oggetto della Critica della ragion pura nel capitolo sulle anticipazioni della percezione. Esclusivamente i giudizi conoscitivi sono a suo avviso possibili sul fondamento di un Beharrliches del senso esterno, mentre i giudizi estetici contengono una determinabilità matematica che si limita ai soli rapporti armonici (Klemme 1998, p. 264). Il nesso con le anticipazioni della percezione non è colto, invece, da Mellin. “Un terzo motivo per il quale i colori sono valutati belli è la modificazione della qualità nelle diverse tensioni della scala dei colori. Ovvero: non solo il grado della sensazione può aumentare o diminuire, ma se la luce agisce immediatamente sul nostro occhio e l'impressione di essa diventa più debole, i colori che l'occhio vede si trasformano, e così non si trasforma solo la quantità intensiva (il grado) della luce, ma anche la qualità (la natura) di essi in relazione allo spettro dei colori. La viva impressione che l'occhio riceve in generale dall'intuizione del sole o di un corpo illuminato produce dapprima un'immagine gialla, poi verde e infine blu” (Mellin 1797-1804, Art. “Farbenkunst”, II Bd., II Abth., p. 543).


...


  Discussione Precedente Discussione n. 6533 Discussione Successiva  
 Nuova Discussione  Rispondi alla discussione
 Versione Stampabile Bookmark this Topic Aggiungi Segnalibro
Vai a:



Macrolibrarsi


English French German Italian Spanish


[AmadeuX BiblioForum] © 2001-2025 AmadeuX MultiMedia network. All Rights Reserved. Torna all'inizio della Pagina