V I S U A L I Z Z A D I S C U S S I O N E |
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Inserito il - 23/10/2007 : 11:34:08 Ciclo di Lezioni: Il processo del morire e il viaggio dell'anima dopo la morte
Centro Studi Bhaktivedanta
Via Gramsci 64 Ponsacco Pisa
24 Ottobre, 7 NOvembre, 14 Novembre, 21 Novembre, 28 Novembre
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Inserito il - 05/12/2007 : 12:06:35 http://www.c-s-b.org/it/images/locandine/bb_08-12-2007.jpg |
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Inserito il - 07/11/2007 : 12:00:34 La Vita dopo la Morte
In cosa consiste il morire? Da cosa è determinata la destinazione post-mortem? La morte implica la cessazione della coscienza e della nostra identità? Le nozioni fondamentali per poter modificare idee scorrette sull'evento morte e prepararsi a viverlo, sia come testimoni che come protagonisti, con un elevato livello di consapevolezza e di coscienza, alla luce della saggezza vedica.
Estratto da "Il viaggio dell'Anima" http://www.csbstore.com/it/index.php?main_page=product_info&products_id=68
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Numerose Scritture di molte Tradizioni, oltre a quella vedico-vaishnava, parlano della dipartita dell’anima dal corpo come di una migrazione, simile a quella degli uccelli. Avviene nel momento in cui l’essere vivente, uscendo dal corpo fisico, a bordo e prigioniero della propria struttura psichica, abbandonando il mondo oggettivo cambia dimensione e si trasforma in qualcos’altro, un preta1, avviandosi verso sud, direzione indicata dagli antichi trattati di astrologia. Descrizioni di questo viaggio dell’anima sono presenti in quasi tutte le tradizioni spirituali e il luogo suddetto verso cui si dirigono le anime è una tappa intermedia, ottenuta la quale si deve sottostare ad una ulteriore trasformazione; sarà in quella nuova forma ottenuta che le anime faranno una serie di esperienze dolorose o gioiose, le quali rispecchieranno lo stile della loro vita e gli atti compiuti nel mondo oggettivo. Passando per queste esperienze di gioia o di dolore, i jiva disincarnati ottengono nuovamente le condizioni necessarie per tornare a sperimentare la vita in questo mondo. Non si può dire se il luogo in cui l’anima torna sia necessariamente questo pianeta o, più verosimilmente, altri pianeti, magari simili a questo. Comunque questi atman, una volta assunti nuovi corpi, avranno ancora una certa durata di vita corporea con tendenze più o meno latenti che genereranno gioie e dolori già tracciati, seppur non definitivamente stabiliti. Dopodiché ancora un altro viaggio da preta per poi tornare di nuovo, come se l’esistenza fosse un ciclo infinito.
Il ciclo delle esistenze condizionate non include soltanto la vita corporea ma anche la vita disincarnata in altre dimensioni. Tutte queste fasi rientrano all’interno di un unico ciclo esistenziale detto samsara. Qui nessuno può dare una spiegazione di ordine temporale, perché da dimensione a dimensione la cognizione del tempo è ben diversa, e perché ogni jiva ha la sua storia: può concluderla rapidamente o può rimanere invischiato nel samsara fino al pralaya successivo, in cui tutto viene riassorbito, ridotto agli elementi più sottili. La gigantesca manifestazione cosmica, proprio come un luna-park, viene smontata e riposta, per riattivarsi con la successiva manifestazione: comincia un altro ciclo e gli esseri si manifestano di nuovo nel mondo oggettivo, secondo la conformazione mentale che avevano lasciato. E’ un disegno cosmico, non lo si può vedere in piccolo, non è permesso alla mente umana di coglierlo in un unico concetto, ma grandi maestri hanno dato insegnamenti che permettono di concettualizzarlo in modo panoramico. Non aspettatevi particolari e dettagli precisi secondo un vostro schema logico-razionale; le Tradizioni parlano un altro linguaggio, che comunque, se saputo correttamente interpretare e contestualizare, si presta a sufficienza perché si possa intendere cosa succede. Il segmento di vita umana che ci troviamo a vivere nel nostro presente appare come una frazione irrilevante rispetto al ciclo intero, ma può assumere gran rilevanza, perché in questo breve tratto possiamo cambiare il nostro destino, risolvere tutti i problemi esistenziali, liquidare il debito karmico e uscire dal gioco massacrante del samsara, che non è attivato da Dio ma dai jiva. Dio e gli “amministratori cosmici” mettono a disposizione la struttura, la giostra, ma il gioco lo fanno interamente i jiva. Come se il Governo mettesse a disposizione un bellissimo stadio e i giocatori scegliessero di giocare al massacro anziché al pallone, ma si può giocare anche diversamente e uscirne con formule rapide. La persona che in questo mondo indossa un corpo umano, illusoriamente pensa che quello sia tutto, e che nella vita non ci sia nient’altro; spreca tempo, disperde l’attenzione, non si concentra sul vero problema, che è quello della morte, e soprattutto non sa che con la morte passa per un esame che decide radicalmente il suo futuro.
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Note:
1. Lett. cadavere, defunto, ma anche spirito fuoriuscito dal corpo, “dipartito”.
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Inserito il - 24/10/2007 : 11:15:39 Il fenomeno morte è un fatto ineliminabile dalle nostre vite. Esso viene abitualmente vissuto come fine di tutto, dissoluzione, scomparsa, con tonalità che vanno dal rassegnato al drammatico, fino al tragico. Eppure la morte non esiste come entità, ma solo come concetto. Essa è in verità un’astrazione. Solo la vita è reale, eterna e immutabile. Attraverso un percorso di consapevolezza profonda, la persona prossima a questa tappa della vita potrà affrontarla percependo che la propria identità è diversa da quella del corpo e scoprendo di fronte a sé una nuova fase della propria eterna esistenza, tutta da progettare costruttivamente.
Estratto da "Psicologia del Ciclo della Vita"
http://www.csbstore.com/it/index.php?main_page=product_info&products_id=13 […] Normalità e malattia non esistono, se non nella visione illusoria dell’uomo; nella realtà, esiste l’immenso percorso dell’evoluzione spirituale, ed esistono vicende e accidenti su questo percorso: tappe, progressi, ristagni e deviazioni, cadute, imprigionamenti e liberazioni. Alcuni tra questi vengono isolati e classificati dalla medicina e dalla psicologia come “malattia”, studiata e curata in una prospettiva che troppo spesso non tiene conto del contesto evolutivo in cui essi si inseriscono. Si possono così ottenere risultati rispettabili, apprezzabili e utili, a breve termine e limitatamente ai sintomi; si può anche avere una certa capacità preventiva, ma la portata e i mezzi della prevenzione e della cura medica e psicologica non possono andare oltre e raggiungere la sostanza, proprio perché non vengono contestualizzati nella realtà e nel processo di progresso spirituale, che rimangono invisibili, seppur talora lontanamente intuibili.
La moderna psichiatria chimica ha rivoluzionato l’approccio alla malattia mentale. A proprio favore vanta risultati concreti, tra i quali numerose conferme che gli squilibri chimici del cervello sono direttamente collegati a malattie mentali: depressioni, fobie, e via dicendo. Molti medici, spinti dalla predominante cultura ispirata al materialismo, sarebbero portati a concludere che le sostanze chimiche possono dare piena risposta ai misteri e ai problemi del rapporto tra corpo e mente, che l’Universo è un accidente, al massimo di tipo evoluzionistico, che la materia precede la mente, che la coscienza è una specie di sottoprodotto della materia, che la vita umana, con la nascita e la morte, non serve nessun proposito più alto. Tenteremo di spiegare che non è così.
L’uomo non è semplicemente un organismo che deve cercare di restare o ritornare in salute (già questa concezione produce malattia), ma è un essere cosciente che ha davanti a sé un percorso verso una meta e che, per raggiungerla, deve evolvere psicologicamente realizzando una ad una le componenti più nobili della propria personalità: desiderio di sapere e capacità di conoscere, gioia, senso morale, bellezza, forza di volontà, compassione, saggezza e Amore.
Riteniamo sia un successo riuscire ad aiutare le persone a liberarsi da identificazioni e condizionamenti, anche da quelli considerati “normali” ma che in realtà costituiscono le peggiori tra le illusioni e le schiavitù. È stato ampiamente dimostrato che la cosiddetta “normalità” è essa stessa psicopatologia, fobie, blande o croniche, manifestazione di cecità o immaturità, che noi non notiamo semplicemente perché la maggior parte degli individui condivide le medesime sindromi. Tra queste, la paura della morte è la più comunemente diffusa, l’ultimo dei tabù. Una vera cura psicologica opera da dentro la persona; è un lavoro che si fa su noi stessi, non qualcosa che viene indotto dall’esterno, perché in tal modo si costituirebbe un’interferenza, un condizionamento, cosa che dobbiamo accuratamente evitare, anche perché il nostro scopo è quello di liberare dai condizionamenti, non di indurne di nuovi e per far ciò possiamo mettere a disposizione solo strumenti idonei. La cura di tipo occidentale è essenzialmente cura dei sintomi di manifestazioni più o meno isolate, e tende a ripristinare il suddetto stato di “normalità” anziché quello di salute olistica così com’è intesa nei testi dello Yoga1.
La cura fisiologica, psicologica, etico-morale dello Yoga di cui mi interesso, è fondata sulla sadhana bhakti (disciplina spirituale), attraverso la quale l’individuo induce e abilita sé stesso a reinterpretare la propria immagine (la coscienza di sé), a trasformarsi e guarirsi psicologicamente, influendo in maniera positiva, seppur indiretta, anche sul proprio ambiente. Fino a metà del secolo scorso, le basi della bio-medicina sono state vissute universalmente come solide e, agli occhi dei suoi teorici, anche come molto convincenti. Poi, a seguito di scoperte scientifiche e di fronte alla crescente insoddisfazione di operatori sanitari e utenti di questa branca della medicina, la fiducia nelle terapie rivolte solo al corpo ha cominciato a vacillare per cui, dapprima timidamente, poi in modo sempre più diffuso, con coraggio alcuni studiosi hanno cominciato a prendere in considerazione un più ampio orizzonte concettuale di salute e di medicina, ad esempio la stretta relazione e interazione corpo-mente, da quel momento definita psicosomatica. Ciò ha portato ad una concezione terapeutica in certa misura olistica, ossia ad un approccio consapevole del fatto che il punto di partenza della diagnosi e della cura deve essere la comprensione della realtà completa di una persona in quanto tale, non solo in quanto malato.
Cura (in inglese cure) e prendersi cura, assistere (in inglese care), differenziano due scopi distinti che i medici normalmente confondono nella pratica. Il termine cura si riferisce alla diagnosi e al trattamento farmacologico della malattia, mentre prendersi cura si riferisce al farsi carico di qualcuno, alle indagini e agli interventi posti in atto per prendere decisioni per il bene e benessere della persona. Di conseguenza, cura ha più a che fare con gli aspetti oggettivi di una situazione patologica, mentre prendersi cura riguarda i significati soggettivi dell’esperienza malattia-trattamento. Cura significa che il medico “fa qualcosa” al malato, prendersi cura esprime fondamentalmente il fare qualcosa “con” la persona (Benoliel, 1972, 1976). La prima domanda da porsi è: quando l’obiettivo cura non è più raggiungibile, cosa va basilarmente fatto per prendersi cura? Il cancro è fra i prototipi delle malattie mortali; quasi tutti accomunano l’idea di avere un cancro con quella di morire. Facendo tesoro di quanto è stato osservato sullo stadio avanzato delle malattie oncoequivalenti e sulle loro ripercussioni, dobbiamo soprattutto mettere in evidenza per voi alcuni problemi di base in gran parte ricorrenti per i malati terminali e per le loro famiglie2.
La millenaria scienza vedica della salute considera l’essere umano una complessa combinazione di energie bio-psichico-spirituali, perciò attribuisce grande importanza curativa, oltre alla farmacologia e alla chirurgia, al tipo di alimentazione, alla condotta etica del soggetto e all’influsso della mente sul corpo. L’indebolimento delle difese immunitarie, lo sviluppo della malattia, il processo di guarigione e, infine, l’accettazione consapevole e serena del passaggio conosciuto come morte, sarebbero l’esito di continue interazioni del complesso corpo-mente-spirito. [...]
Note:
1. Principalmente: Bhagavadgita, Bhagavata-Purana, Vedanta, Yoga-sutra, Katha e Shvetashvatara Upanishad.
2. Charles A. Garfield. Assistenza psicosociale al malato in fase terminale. McGraw Hill, Milano, 1987. CSB Store - © Copyright Centro Studi Bhaktivedanta 2007
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