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Inserito il - 30/01/2024 : 10:29:34 Il Karma
di autore sconosciuto Il termine sanscrito karma (karman) etimologicamente significa “azione”, e anche attività, principio di causalità, effetti risultanti da un’azione. Originariamente indicava il sacrificio cultuale, il rito religioso, in quanto nella cultura indo-vedica anche la vita del brahmana era presa nel solco dell’atto liturgico, perché niente nell’esistenza sfugge al dharma, alla Onnipresenza divina. Il dominio profano non esiste, tutto partecipa al sacro. Più recentemente, grazie agli insegnamenti della Bhagavad-gita, il karma è visto anche come atto in forma di “servizio” alla comunità umana o in un particolare contesto. In genere è tout court percepito nel significato di “reazione”, in special modo la serie causale che ci farà raccogliere nel corso delle vite successive il risultato di ciò che abbiamo fatto e pensato. Il karma è il frutto dell’azione che determina l’individuazione di un soggetto agente; è l’inerzialità della massa mentale del soggetto, ciò che lo sospinge ad agire, pensare, identificarsi, esistere in una data condizione. Può dunque considerarsi come “causa ed effetto” dell’azione, tale da coinvolgere e costringere l’essere nel perenne ciclo del divenire, della trasmigrazione da una condizione di coscienza-esistenza all’altra. Una legge della fisica (anche spirituale) dice: “Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”. Quando qui si parla di azioni si allude sempre anche a: pensieri, parole e omissioni. Un altro assioma fondamentale è: “La legge del karma opera anche se una persona non la conosce”. Ci sono tre tipi di karma: il prarabdhakarma, il samcitakarma, l’agaminkarma. Il prarabdhakarma viene comunemente associato al “destino” di una persona. È il karma di “ritorno”, cioè la conseguenza delle nostre azioni le cui reazioni stanno andando a compimento. Nessuno su questo piano di esistenza, governato dalle leggi della dimensione spazio-tempo-causale, può sfuggire a questo karma, es.: Cristo muore in croce, Giuda si impicca ecc. Il samcitakarma è il karma pregresso, non ancora maturato, procurato da azioni compiute nelle vite precedenti e in quella attuale, cioè il peso karmico che ci portiamo dietro attraverso il ciclo delle rinascite. L’agaminkarma è il karma potenziale, quello che può essere generato da nuove azioni. Il prarabdhakarma, il frutto delle azioni compiute nel corso delle varie esistenze, è il samcitakarma che va a compiutezza. È ineluttabile – ad esempio il nostro corpo - e deve essere esaurito o bruciato completamente in questa vita alla morte dell’involucro fisico o nelle prossime esistenze, mediante l’acquisizione di altri veicoli formali. Oltre al karma individuale ci si deve confrontare anche con il karma di famiglia, che viene trasmesso tra generazioni, con il karma di popolo (es. la nazione ebraica tormentata da diaspora, shoah, guerre per la conquista di un territorio ecc.), con il karma di istituzione (es. la chiesa, prima perseguitata e martirizzata, poi divenuta essa stessa carnefice verso gli eretici e i credenti in altre religioni). Il samcitakarma deve essere neutralizzato per non compromettere le vite future perpetuate nel ciclo della trasmigrazione. L’agaminkarma può essere positivo, ovvero contribuire a migliorare la situazione debitoria cioè alleggerendo il karma accumulato (samcita), ma anche negativo e peggiorarla. Quando una persona muore (meglio dire lascia il corpo in quanto l’Essere è immortale) i conti vengono fatti anche sulla base dei vasana e dei samskara che hanno prodotto il karma personale. I vasana sono le tendenze latenti che, avendo a che fare con il subconscio, inducono la persona a cadere sempre negli stessi errori e di conseguenza a seminare i semi causali, i samskara, che hanno diretta relazione con il citta (la sostanza mentale). La reincarnazione è la “necessità” di esaurire le dinamiche residuali dei vasana e dei samskara e quindi estinguere il debito karmico, fornendo nuove opportunità di risolvere la propria situazione non permanendo nell’ignoranza (avidya); ciò che si ottiene percorrendo la Via della Conoscenza, che conduce all’immediata estinzione della sostanza karmica e di conseguenza alla liberazione (moksa) dal samsara (il ciclo delle rinascite). La consapevolezza di non essere identificati nel veicolo corpo-mente, ma di essere l’essenza spirituale indifferenziata, il Sé ovvero la pura Coscienza, ha questa prerogativa. Ecco perché l’uomo negli stadi finali della sua vita (vanaprasthya e samnyasa) si dedica alla ricerca interiore e si scioglie dagli attaccamenti causati dall’inerzia spirituale, dall’orgoglio, dal desiderio, dalla possessione, dalle emozioni, dai sentimenti, dalle passioni smodate, dalle paure, dall’odio, dalla depressione ecc. ovvero dalle sovrapposizioni imprigionanti della mente proiettiva e velante, che creano i legami karmici caratteristici del senso dell’io psicologico. Si potrebbe concludere che nell’esperienza esistenziale non è importante che cosa ci succede, processo pressoché inevitabile in quanto – se compreso - funzionale al nostro progresso evolutivo, ma come noi reagiamo a quanto ci accade. Una modalità per parametrare il nostro grado di purezza emozionale e inconscia è quello di tenere sotto osservazione il verificarsi di eventi spiacevoli che si possono riscontrare nella quotidianità. Se abbiamo la sensazione di aver commesso una scorrettezza verso qualcuno o verso noi stessi (ad esempio una arrabbiatura) e riceviamo “subito” una “punizione” diretta o indiretta, così ritenendo di aver scontato immediatamente il “peccato” appena commesso, significa che il nostro contenitore karmico è sostanzialmente vuoto. Questo fenomeno viene definito: “karma veloce”. Da un lato determina l’ineludibilità di qualche fastidiosa seccatura, dall’altro è confortante constatare che grazie alla purificazione ottenuta con la nostra sadhana (disciplina spirituale) abbiamo raggiunto, o siamo vicini, allo stato coscienziale della liberazione. In ogni caso sarebbe bene riflettere sempre sull’antichissimo insegnamento upanisadico: “Quello che pensiamo diventiamo”. Molti sottovalutano il potere della mente, non tenendo presente che ogni nostro pensiero è un ente a cui diamo esistenza e di cui dobbiamo rispondere; diventa quindi fondamentale il controllo della psiche, stratificata in: mente funzionale, concettuale e intuitiva (l’unica porta d’accesso all’anima incarnata o jiva). Solo quest’ultima ci consente di percepire la consapevolezza del Sé (l’atman non duale, Dio in noi) e realizzare lo scopo della nostra vita: il riconoscimento della nostra vera natura che è lo Spirito (Paramatman).
Shivo ’smy aham
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