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 I raggi cosmici
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Inserito il - 03/10/2003 : 11:26:36  Mostra Profilo
I raggi cosmici

a cura dell'INFN

a cura dei Dottori:

Guido Barbiellini
Università e sezione INFN di Trieste

Valentina Bologna
SISSA, Trieste

Francesco Longo
Università e sezione INFN di Ferrara


L'invisibile pioggia di particelle che arriva a terra in ogni istante è un messaggio che l'universo regala agli scienziati per parlare di sé. Raggi cosmici, questo è il loro nome, ed evoca la loro provenienza, ma non la loro origine, ricorda i raggi del sole, ma non si tratta solo di fotoni.

Quando furono scoperti era il 1912. Allora l’unica particella nota era l’elettrone, Niels Bohr non aveva ancora presentato la sua teoria atomica e la descrizione quantistica del microcosmo era ancora lontana. In quel periodo si indagava sull’origine dei fenomeni radioattivi, che risultavano onnipresenti ed ineliminabili anche con schermature. L’austriaco Victor Hess iniziò una serie sistematica di esperimenti salendo in quota con dei palloni, per individuare la sorgente della radioattività. Misure dettagliate permisero ad Hess di dichiarare con certezza: "I risultati delle presenti osservazioni possono essere spiegati ammettendo la presenza di una radiazione estremamente energetica che penetra l'atmosfera e, interagendo, provoca la ionizzazione dell'aria così come essa viene osservata".


Per Hess si trattava di raggi gamma, gli stessi osservati nel decadimento radioattivo naturale; della stessa idea era Robert Millikan, che nel 1925 li chiamò, appunto, cosmic radiation o cosmic rays. Questa analogia accompagnò da subito gli scienziati, che, in quegli anni, stavano cercando di comprendere la natura dell'atomo. Si era ancora lontani dalla costruzione di grandi acceleratori, esistevano allora solamente pionieristici rivelatori costituiti da camere a nebbia, dove le particelle lasciavano la loro traccia a goccioline, passando attraverso un gas in sovrapressione, e contatori Geiger, in cui le particelle producono una scarica elettrica. Impilando contatori Geiger a formare “telescopi”, Walther Bothe e Werner Kolhörster nel 1928 provarono la natura corpuscolare dei raggi cosmici; il loro risultato venne confermato ed approfondito a Firenze da Bruno Rossi, che sviluppò dei circuiti elettronici per studi sistematici dei raggi cosmici.

Fino agli anni ‘50, i raggi cosmici rimasero la sola sorgente naturale di particelle di alta energia, in grado di produrre nuove specie materiali. Permisero così la prima osservazione sperimentale di due fondamentali scoperte nel campo della fisica delle particelle: l'antimateria e il processo di decadimento del pione. Nel 1932 Carl Anderson osservò delle particelle cariche positivamente, che lasciavano nella camera a nebbia la stessa traccia degli elettroni. I suoi risultati furono convalidati nel 1933 da Patrick Blackett e Giuseppe Occhialini che riconobbero in esse l’antielettrone o positrone proposto teoricamente da Paul Dirac, osservando la conversione di fotoni di alta energia in coppie elettrone-positrone. Particella predetta nel 1936 da Hideki Yukawa, il pione si osservò sperimentalmente solo nel 1947 da parte di Cecil Frank Pawel, Occhialini e Cesar Lattes, utilizzando speciali emulsioni fotografiche per registrare la produzione di pioni da parte dei raggi cosmici e il loro successivo decadimento in muoni, che a loro volta decadono in elettroni (o positroni) e in neutrini (invisibili).


L'osservazione di sciami di particelle prodotte nelle camere a nebbia suggerì che gli stessi raggi cosmici, così come arrivavano a terra, dovevano essere il prodotto di interazioni e decadimenti successivi generati nell'interazione con l'atmosfera. La distinzione tra raggi cosmici primari e secondari, terziari e di livelli successivi emerse rapidamente. Si pose inevitabilmente la questione sull'origine e la provenienza dei raggi primari. Le ipotesi che vennero avvalorate proposero come possibile sorgente e sede dell'accelerazione dei raggi cosmici inizialmente il sole (Teller), poi la galassia (Fermi) e infine Cocconi nel 1956 notò che la componente più energetica aveva caratteristiche extragalattiche. Era necessario aspettare l'inizio della conquista dello spazio per comprendere più a fondo la provenienza dei raggi cosmici. Quarant'anni di missioni spaziali non sono molti, ma hanno suggerito agli scienziati di cercare e verificare nell'universo proprietà fondamentali nello studio di oggetti celesti, come buchi neri, stelle di neutroni e sorgenti extragalattiche lontane nello spazio e nel tempo. Ai raggi cosmici l'onore di essere i messaggeri di quell'informazione che la tecnologia non potrà mai realizzare, una macchina del tempo, efficiente e poco dispendiosa, a disposizione degli scienziati e di tutti gli interessati a leggere il libro dell'universo, delle sue leggi e della sua storia.


I raggi cosmici e l'antimateria

L'equazione del comportamento delle particelle cariche relativistiche, descritta da Dirac, presuppone l'esistenza di uno stato a energia negativa: ad esempio l'anti-elettrone (o positrone) è una particella avente le stesse caratteristiche dell'elettrone in massa, ma carica opposta. Attualmente si ritiene che il mondo e tutti i fenomeni che in esso avvengono siano composti a partire da alcuni mattoni fondamentali, i quark leggeri u, d e gli elettroni. Quantità minime delle rispettive antiparticelle, antiquark e antielettroni si trovano in particolari intervalli di tempo e in poche località terrestri, prodotte in laboratori, quali per esempio il CERN (Ginevra), il FermiLab (Chicago), SLAC (Stanford), LNF (Frascati) e a Novosibirsk (Russia). I raggi cosmici della Galassia contengono una frazione di antiprotoni e positroni, rispettivamente in quantità circa un decimillesimo ed un decimo rispetto alle corrispondenti particelle. Questa quantità ragguardevole di antimateria è, entro le incertezze dei dati sperimentali, compatibile con la produzione di antimateria negli urti dei protoni primari dei raggi cosmici con gli atomi di idrogeno negli spazi interstellari della Via Lattea.

Lo studio degli antiprotoni richiede esperimenti fuori dell'atmosfera e con strumentazione abbastanza sofisticata. I primi esperimenti significativi sono stati intrapresi con palloni stratosferici, seguendo isuggerimenti di Luis Alvarez. Ottimi risultati sugli antiprotoni sono stati ottenuti dalla collaborazione Wizard in particolare con la missione CAPRICE, nella quale l'INFN ha partecipato con un elevato numero di afferenti, e dalla collaborazione BESS, che ha invece coinvolto il Giappone e gli Stati Uniti.

Se nella ricerca di antimateria cosmica si trovasse una traccia di antielio, superiore a 10-12 rispetto all'elio, non sarebbe possibile darne spiegazione utilizzando la produzione secondaria, il che ci porta inevitabilmente a concludere che in qualche parte dell'universo esisterebbe, allora, una componente macroscopica di antimateria. Gli esperimenti su pallone ed il volo ingegneristico della missione AMS sullo Shuttle nel 1998 hanno prodotto, finora, un limite sul rapporto tra elio e antielio pari a 10-6. La missione AMS, la cui installazione sulla Stazione spaziale internazionale è fissata per il 2004, sarà in grado di misurare il rapporto antielio/elio fino a un fattore dell'ordine di 10-9 ( Fig 5). Anche in questo caso l'INFN ha investito le sue risorse culturali e tecnologiche. Prima che AMS giunga in orbita, il gruppo Wizard lancerà nello spazio PAMELA, un satellite in grado di osservare l'antimateria protonica, elettronica e dell'elio in un intervallo di energia molto ampio, con l'intento di osservare la componente più energetica dell'antielio, l'unica in grado di pervenire da eventuali anti-galassie lontane.


I raggi cosmici e gli sciami atmosferici

Le prime evidenze di una componente molto energetica dei raggi cosmici e la scoperta degli sciami atmosferici portano la data del 1930 quando il gruppo di scienziati guidato da Pierre Auger osservò coincidenze tra contatori di particelle separati tra loro sino a distanze di 300 metri. Queste coincidenze furono propriamente interpretate come il risultato di sciami estesi generati nell'atmosfera dai raggi cosmici primari nel loro viaggio verso la superficie terrestre (Fig 6). Nel 1949 lo studio degli sciami estesi era diventata una tecnica capace di quantificare l'energia dei raggi primari con circa il 30 per cento di precisione. Nello stesso anno, Enrico Fermi da Chicago propose l'esclusione degli elettroni come primari in una lettera di risposta a Giuseppe Cocconi, che al tempo si trovava alla Cornell University di New York, suggerendo inoltre di abbandonare le ipotesi di Edward Teller sull'origine locale dei raggi cosmici, per seguire la strada dell'origine galattica.

Teller giustificava la sua posizione con considerazioni di natura energetica. Calcolando, infatti, dal flusso di raggi cosmici la densità di energia misurata nelle vicinanze della terra e moltiplicata per il volume della Via Lattea si trova un valore totale di energia talmente alto, giustificabile solamente presupponendo la localizzazione dei raggi cosmici nel sistema solare. Passarono pochi anni e nel 1956 Cocconi presentò l'ipotesi avvalorata sperimentalmente che i raggi cosmici, di energia superiore ai 1018 eV possono essere accelerati negli spazi intergalattici, divenendo così i principali messaggeri dell'informazione a distanze extragalattiche.

La strada però era ancora in salita. Infatti, l'osservazione sperimentale dei raggi cosmici di energia superiore ai 1020 eV è estremamente complessa perché la loro frequenza di arrivo al suolo è molto bassa (dell'ordine di uno al km2 al secolo). Due sono attualmente le strategie che gli scienziati stanno percorrendo: da una parte costruire strumenti con ampie superfici di raccolta per i raggi cosmici, dall'altra mandare i rivelatori nello spazio. In entrambi i casi l'INFN si sta impegnando a dare il suo sostegno intellettuale, scientifico e finanziario, partecipando alla realizzazione del progetto AUGER ­ così chiamato in onore del fisico francese ­ e di EUSO (Extreme Universe Space Observatory) un rivelatore per raggi cosmici di altissima energia ospitato sulla Stazione Spaziale Internazionale.


AUGER sarà il più grande osservatorio del mondo. Con i suoi 3000 km2 (quasi dieci volte Parigi) e 1600 rivelatori, consentirà, dal 2003, di determinare con estrema accuratezza la direzione, l'energia e la massa dei raggi cosmici, parametri necessari per comprendere meglio i meccanismi di accelerazione più potenti nell'universo, per studiare le isotropie e dare spiegazioni alle strutture di larga scala, per far svelare i segreti passati del cosmo ai neutrini. A partire dal 2007 EUSO, invece, punterà lo sguardo agli estremi confini del mondo fisico, ai primi istanti dell'universo. Osservando la fluorescenza, prodotta nell'atmosfera da sciami generati da raggi cosmici e da neutrini di energie estreme e focalizzata con una grande lente ottica di Fresnel sul piano del rivelatore, consentirà di ricostruire la direzione di arrivo dello sciame e la sua energia con estrema precisione.


Sorgenti puntiformi di raggi cosmici

Le particelle di origine cosmica che osserviamo da terra sono principalmente i prodotti delle interazioni dei raggi cosmici primari con l'atmosfera. Lo studio della componente primaria ha richiesto di porre delicate strumentazioni su palloni atmosferici e su satelliti. Grazie a queste misurazioni, dopo quasi un secolo dalle misure di Hess, si conoscono molti dettagli delle proprietà dei raggi cosmici quali la loro distribuzione spettrale e la loro composizione.

La componente principale dei raggi cosmici primari sono i protoni e gli atomi di elio. La percentuale degli altri elementi è pressoché analoga a quella presente nel sistema solare, tranne che per il litio, il berillio e il boro, eccessi probabilmente prodotti dalle interazioni dei protoni con il materiale presente nello spazio interstellare. Lo studio di queste abbondanze e l'analisi delle vite medie di alcuni di essi hanno suggerito che la gran parte dei raggi cosmici sia concentrata all'interno nella Galassia.

Ulteriore conseguenza delle loro interazioni con la materia interstellare è la produzione di una intensa radiazione gamma, derivante dal decadimento del pione neutro. Se si osserva, quindi, la Galassia in queste lunghezze d'onda (da 100 MeV in su), la componente dominante è proprio il bagliore concentrato attorno al piano galattico, in cui le interazioni dei raggi cosmici e i processi che coinvolgono gli elettroni presenti nella radiazione cosmica fanno la parte del leone. (Fig. 8 ) Essi interagiscono con i campi elettromagnetici e con la materia dello spazio interstellare e con la stessa radiazione prodotta dalle stelle dando origine alla radiazione gamma. La possibilità di osservare tali lunghezze d'onda, invisibili da terra, ha permesso di studiare la percentuale di raggi cosmici e la stessa struttura della Via Lattea.

È grazie allo sviluppo delle tecnologie spaziali, a partire dalla fine degli anni sessanta, che questa componente dello spettro elettromagnetico è divenuta accessibile. Dopo la missione statunitense SAS-2 (1972-73), che scoprì l'emissione diffusa proveniente dalla Galassia e originata da alcuni resti di supernova, furono soprattutto i satelliti COS-B, europeo, e EGRET, a bordo del Compton Gamma Ray Observatory statunitense, a dare un impulso decisivo a questa scienza.

COS-B (1975-82), infatti, rivelò l'emissione gamma dalle pulsar - stelle di neutroni rotanti - ed individuò la prima sorgente gamma extragalattica. EGRET (1991-2000), invece, permise di delineare molto più in dettaglio l'emissione diffusa e localizzò circa trecento sorgenti puntiformi, tra cui i Gamma-Ray Bursts, misteriosi oggetti posti ai confini dell'universo; osservò inoltre l'emissione gamma prodotta dalle interazioni dei raggi cosmici presenti nelle Nubi di Magellano, galassie satelliti della Via Lattea, confermando così l'ipotesi di una origine degli stessi all'interno delle galassie.

Se sono noti i meccanismi con cui i raggi cosmici interagiscono con la materia interstellare, poco noto ancora è il processo che permette di accelerarli fino alle energie con cui vengono osservati. È questo uno dei principali obiettivi scientifici delle future missioni spaziali dedicate all'astronomia gamma, in cui l'INFN sta svolgendo un ruolo decisivo. AGILE (Astrorivelatore Gamma a Immagini LEggero), a partire dal 2003, e GLAST (Gamma Ray Large Area Space Telescope) che volerà nel 2006, utilizzeranno la tecnologia dei rivelatori a semiconduttore. Questa tecnologia permetterà di individuare con molta più precisione la direzione di arrivo dei raggi gamma. In questo modo si potrà distinguere nel dettaglio l'emissione gamma prodotta nei resti di supernova. Si ritiene, infatti, che siano le onde d'urto prodotte da tali esplosioni a fornire l'energia ai raggi cosmici.

Analoghi meccanismi sono all'opera nelle sorgenti gamma più intense, come i nuclei galattici attivi o i Gamma-Ray Bursts. Si ipotizza che siano essi ad accelerare i raggi cosmici fino alle altissime energie, e un lodevole contributo alla comprensione di questo fenomeno celeste è stato dato dalla missione spaziale per raggi X, Beppo SAX (Fig. 9). Le future missioni per l'astronomia gamma permetteranno, allora, di esplorare sorgenti fino ai confini dell'universo, nonché di cercare di rispondere a interrogativi decisivi per la comprensione della struttura e dell'unità del cosmo, quali l'identificazione della materia oscura o la natura quantistica dello spazio tempo.


Istituzioni scientifiche citate nell'articolo:

AUGER
AMS
GLAST
CGRO

In collaborazione con l' Istituto nazionale di fisica nucleare

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