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Scudo spaziale nel mirino della Cina
La ricerca astronautica prepara un laser capace di neutralizzare i satelliti americani
Mirko Molteni – tratto da «La Padania»
28 ottobre 2003
Il recente volo orbitale del primo cosmonauta cinese dimostra quanto la Cina voglia contare di più nello spazio. Anche perché nei cieli siderali si giocherà presto la grande partita degli equilibri fra le potenze. Lo scudo spaziale caro a Bush sarà operativo in una data imprecisata fra il 2005 e il 2010. E la Cina prepara le sue contromisure. L'opera difensiva americana dipenderà da una rete di 24 satelliti SBIRS (Space Based Infra Red System) i cui sensori all'infrarosso hanno il compito di rilevare le vampate infuocate di missili nemici decollanti verso il Nordamerica, dando un tempestivo allarme. Quei satelliti da sorveglianza sono basilari per la riuscita dello scudo, perché individueranno i missili nella loro fase balistica più vulnerabile, cioè appena dopo il lancio, quando saranno ancora lontani dall'America e con le eventuali testate multiple ancora racchiuse nelle ogive. È facile immaginare che se si riuscisse a interdire agli americani l'uso dello spazio, il loro apparato militare (in primis lo scudo spaziale) diverrebbe in gran parte cieco e sordo. Ecco perché la Cina si lancia sempre più alla conquista dello spazio. Non solo col programma delle navicelle Shenzhou, ma anche mediante lo sviluppo di armi antisatellite, o ASAT, con base a terra.
INTERDIRE LO SPAZIO Con un laser accuratamente puntato verso il cielo si può distruggere un satellite o almeno accecarne i sensori. Già i Sovietici nel 1984 fecero simili esperimenti col potente laser di Sary Sagan. Nel 1997 anche il laser americano Miracl da 1 Mega Watt, sito al poligono White Sands in New Mexico, danneggiò da terra il satellite MISTI 3. L'esperimento era volto a mettere in guardia le autorità Usa circa i pericoli che minacciano i delicati sistemi spaziali. Centrare un satellite nel firmamento non è facile, ma con radar a grande portata lo si può "agganciare" e seguire per un ampio tratto di orbita. Proprio nell'ottobre 1997, il generale cinese Ge Hunbiao si accordava col governo di Kiribati perché un'area dell'atollo di Tarawa fosse concessa ai militari di Pechino per costruirvi una base radar di controllo satellitare. Lo Stato di Kiribati comprende l'arcipelago delle ex-Isole Gilbert, in pieno Oceano Pacifico. Tarawa è a cavallo dell'Equatore. In termini astronautici, una posizione ideale per tenere sotto controllo le più ampie porzioni di orbite satellitari. Scopo ufficiale della base, denominata "China Space Tarawa Tracking and Control Station" è quello di assistere il programma spaziale cinese. Dichiarata operativa nel gennaio 1999, la stazione è sempre stata off-limits, salvo una fuggevole visita effettuata quell'anno dal giornalista Michael Field. Egli potè vedere da lontano alcuni capannoni e due grandi parabole radar puntate verso Nord. Da più parti sono germogliati i sospetti. Tanto per cominciare lo stesso governo di Kiribati si è dimostrato reticente con i partiti di opposizione, che chiedevano chiarimenti sulla base cinese. Il presidente Teburoro Tito è stato persino accusato di aver ricevuto bustarelle dall'ambasciatore cinese.
OCCHI VERSO IL COSMO Con quei radar, le forze di Pechino possono seguire le traiettorie della maggior parte dei satelliti stranieri. Inoltre Tarawa è a circa 1000 km a Sud-Est di Kwajalein, l'isola delle Marshall da cui gli americani provano i missili intercettori che formeranno lo scudo. In aggiunta al controllo satellitare, i cinesi possono quindi approfittare dell'occasione per spiare l'andamento dei collaudi. La base è considerata di vitale importanza, tanto che nel febbraio 2002 la Cina ha ottenuto dal governo di Kiribati l'estensione fino al 2017 dei permessi. Un'iniziativa analoga è stata portata avanti in Namibia, dove da due anni c'è un'altra base radar.
"LABIRINTO CHE UCCIDE" Sotto il termine "shashoujian", cioè "labirinto che uccide", l'Esercito Cinese comprende quei programmi volti a colmare lo svantaggio tecnologico con gli Usa. Bombe a impulso elettromagnetico, cannoni elettrici e, per l'appunto, armi laser. Per ora, gli unici laser offensivi cinesi di cui si abbia ampia documentazione sono i piccoli sistemi portatili per le truppe di terra, come lo ZM-87, venduto all'estero. Si pensa che sia stato con un apparato del genere che i Nordcoreani abbiano accecato lo scorso marzo l'equipaggio di un elicottero Apache che si era avvicinato troppo al 38° parallelo. Dei laser più potenti poco trapela dal Paese comunista, dove l'interesse per questa tecnologia ha radici trentennali. Pare che già nel 1970 lo stesso Mao avesse promosso un certo "Progetto 640/3". Dal 2001 sarebbe in corso un nuovo ciclo di test con laser ad alta energia.
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