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Inserito il - 19/04/2007 : 20:28:05
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Estratto da "Psicologia del Ciclo della Vita" […] Normalità e malattia non esistono, se non nella visione illusoria dell’uomo; nella realtà, esiste l’immenso percorso dell’evoluzione spirituale, ed esistono vicende e accidenti su questo percorso: tappe, progressi, ristagni e deviazioni, cadute, imprigionamenti e liberazioni. Alcuni tra questi vengono isolati e classificati dalla medicina e dalla psicologia come “malattia”, studiata e curata in una prospettiva che troppo spesso non tiene conto del contesto evolutivo in cui essi si inseriscono. Si possono così ottenere risultati rispettabili, apprezzabili e utili, a breve termine e limitatamente ai sintomi; si può anche avere una certa capacità preventiva, ma la portata e i mezzi della prevenzione e della cura medica e psicologica non possono andare oltre e raggiungere la sostanza, proprio perché non vengono contestualizzati nella realtà e nel processo di progresso spirituale, che rimangono invisibili, seppur talora lontanamente intuibili.
La moderna psichiatria chimica ha rivoluzionato l’approccio alla malattia mentale. A proprio favore vanta risultati concreti, tra i quali numerose conferme che gli squilibri chimici del cervello sono direttamente collegati a malattie mentali: depressioni, fobie, e via dicendo. Molti medici, spinti dalla predominante cultura ispirata al materialismo, sarebbero portati a concludere che le sostanze chimiche possono dare piena risposta ai misteri e ai problemi del rapporto tra corpo e mente, che l’Universo è un accidente, al massimo di tipo evoluzionistico, che la materia precede la mente, che la coscienza è una specie di sottoprodotto della materia, che la vita umana, con la nascita e la morte, non serve nessun proposito più alto. Tenteremo di spiegare che non è così. L’uomo non è semplicemente un organismo che deve cercare di restare o ritornare in salute (già questa concezione produce malattia), ma è un essere cosciente che ha davanti a sé un percorso verso una meta e che, per raggiungerla, deve evolvere psicologicamente realizzando una ad una le componenti più nobili della propria personalità: desiderio di sapere e capacità di conoscere, gioia, senso morale, bellezza, forza di volontà, compassione, saggezza e Amore.
Riteniamo sia un successo riuscire ad aiutare le persone a liberarsi da identificazioni e condizionamenti, anche da quelli considerati “normali” ma che in realtà costituiscono le peggiori tra le illusioni e le schiavitù. È stato ampiamente dimostrato che la cosiddetta “normalità” è essa stessa psicopatologia, fobie, blande o croniche, manifestazione di cecità o immaturità, che noi non notiamo semplicemente perché la maggior parte degli individui condivide le medesime sindromi. Tra queste, la paura della morte è la più comunemente diffusa, l’ultimo dei tabù. Una vera cura psicologica opera da dentro la persona; è un lavoro che si fa su noi stessi, non qualcosa che viene indotto dall’esterno, perché in tal modo si costituirebbe un’interferenza, un condizionamento, cosa che dobbiamo accuratamente evitare, anche perché il nostro scopo è quello di liberare dai condizionamenti, non di indurne di nuovi e per far ciò possiamo mettere a disposizione solo strumenti idonei. La cura di tipo occidentale è essenzialmente cura dei sintomi di manifestazioni più o meno isolate, e tende a ripristinare il suddetto stato di “normalità” anziché quello di salute olistica così com’è intesa nei testi dello Yoga1.
La cura fisiologica, psicologica, etico-morale dello Yoga di cui mi interesso, è fondata sulla sadhana bhakti (disciplina spirituale), attraverso la quale l’individuo induce e abilita sé stesso a reinterpretare la propria immagine (la coscienza di sé), a trasformarsi e guarirsi psicologicamente, influendo in maniera positiva, seppur indiretta, anche sul proprio ambiente. Fino a metà del secolo scorso, le basi della bio-medicina sono state vissute universalmente come solide e, agli occhi dei suoi teorici, anche come molto convincenti. Poi, a seguito di scoperte scientifiche e di fronte alla crescente insoddisfazione di operatori sanitari e utenti di questa branca della medicina, la fiducia nelle terapie rivolte solo al corpo ha cominciato a vacillare per cui, dapprima timidamente, poi in modo sempre più diffuso, con coraggio alcuni studiosi hanno cominciato a prendere in considerazione un più ampio orizzonte concettuale di salute e di medicina, ad esempio la stretta relazione e interazione corpo-mente, da quel momento definita psicosomatica. Ciò ha portato ad una concezione terapeutica in certa misura olistica, ossia ad un approccio consapevole del fatto che il punto di partenza della diagnosi e della cura deve essere la comprensione della realtà completa di una persona in quanto tale, non solo in quanto malato.
Cura (in inglese cure) e prendersi cura, assistere (in inglese care), differenziano due scopi distinti che i medici normalmente confondono nella pratica. Il termine cura si riferisce alla diagnosi e al trattamento farmacologico della malattia, mentre prendersi cura si riferisce al farsi carico di qualcuno, alle indagini e agli interventi posti in atto per prendere decisioni per il bene e benessere della persona. Di conseguenza, cura ha più a che fare con gli aspetti oggettivi di una situazione patologica, mentre prendersi cura riguarda i significati soggettivi dell’esperienza malattia-trattamento. Cura significa che il medico “fa qualcosa” al malato, prendersi cura esprime fondamentalmente il fare qualcosa “con” la persona (Benoliel, 1972, 1976). La prima domanda da porsi è: quando l’obiettivo cura non è più raggiungibile, cosa va basilarmente fatto per prendersi cura? Il cancro è fra i prototipi delle malattie mortali; quasi tutti accomunano l’idea di avere un cancro con quella di morire. Facendo tesoro di quanto è stato osservato sullo stadio avanzato delle malattie oncoequivalenti e sulle loro ripercussioni, dobbiamo soprattutto mettere in evidenza per voi alcuni problemi di base in gran parte ricorrenti per i malati terminali e per le loro famiglie2.
La millenaria scienza vedica della salute considera l’essere umano una complessa combinazione di energie bio-psichico-spirituali, perciò attribuisce grande importanza curativa, oltre alla farmacologia e alla chirurgia, al tipo di alimentazione, alla condotta etica del soggetto e all’influsso della mente sul corpo. L’indebolimento delle difese immunitarie, lo sviluppo della malattia, il processo di guarigione e, infine, l’accettazione consapevole e serena del passaggio conosciuto come morte, sarebbero l’esito di continue interazioni del complesso corpo-mente-spirito. [...]
Note:
1. Principalmente: Bhagavadgita, Bhagavata-Purana, Vedanta, Yoga-sutra, Katha e Shvetashvatara Upanishad.
2. Charles A. Garfield. Assistenza psicosociale al malato in fase terminale. McGraw Hill, Milano, 1987.
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Inserito il - 11/05/2007 : 18:12:02
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Seminari : Il Processo del Morire e il
Viaggio dell'Anima dopo la Morte
Il 5 maggio scorso, presso la Sala Convegni dei Chiostri di Santa Corona, il Prof. Marco Ferrini Ph.D. Psychology del Centro Studi Bhaktivedanta, Accademia di Scienze Tradizionali dell’India, ha tenuto un Seminario sul tema: “Il Processo del Morire e il Viaggio dell’Anima dopo la Morte”. Il Seminario, frutto di lunghi studi ed esperienze che il Prof. Ferrini svolge da decenni in questo importante e delicato settore, anche nell’ambito di Seminari E.C.M. in collaborazione con il Ministero della Salute e dedicati alla Psicologia dell’Assistenza ai Malati Terminali e ai loro Familiari, è stato seguito con grande interesse da parte degli operatori sanitari presenti e del pubblico in generale che ha partecipato all’evento.
Il tema è stato analizzato secondo la prospettiva della cultura tradizionale indiana che ha elaborato un’importante Scuola psicologica (Upanishad, Vedanta, Bhagavad-gita, Yogasutra e Purana), con tutta probabilità la prima nella storia e fondata sui testi più antichi che l’umanità conosca, oggi sempre più riconosciuti ed apprezzati anche in Occidente. Il Seminario ha affrontato i temi della nascita, della malattia, della sofferenza umana, della morte e del viaggio dell’anima dopo la morte contestualizzando tali argomenti in una visione ampia dell’uomo e del cosmo e trattando l’essere nella sua globalità, in tutti i suoi piani antropologici: fisico, psichico e spirituale.
Secondo la cultura tradizionale indiana, ha spiegato il relatore, “la morte non indica la fine di tutto e la dissoluzione della coscienza individuale, bensì essa rappresenta un cruciale momento di passaggio da una dimensione di esistenza ad un’altra. Il tipo di morte e soprattutto la coscienza con cui si affronta quella che rappresenta la crisi per eccellenza, dipendono dalla qualità con cui si è vissuta la vita, dalle esperienze che si sono compiute nel proprio percorso esistenziale nel mondo e che confluiscono tutte nel momento della morte, determinando anche l’orientamento del viaggio post-mortem”. Secondo la Psicologia Bhaktivedantica, ogni azione che compiamo lascia una traccia indelebile dentro di noi, una sorta di registrazione latente nella memoria inconscia che costruisce il carattere e la personalità di ogni individuo, determinando anche le sue future condizioni di vita sulla base dell’indefettibile legge della reciprocità e della remunerazione delle azioni (karma). L’universo è infatti regolato da leggi universali, e non si tratta soltanto di leggi fisiche bensì di un ordine ben più esteso che nella fisica subatomica è definito ordine implicito e che nella letteratura antico indiana è descritto come Ordine etico universale (dharma).
Dunque anche il fenomeno della morte non sfugge a quelle leggi impercettibili ma onnipresenti che sono a fondamento dell’universo e che governano l’esistenza di ogni creatura. La morte può far piombare l’essere in un disperato terrore, il cosiddetto horror mortis, oppure può essere affrontata percependo che la propria identità è diversa da quella del corpo e scoprendo di fronte a sé una nuova fase della propria eterna esistenza, tutta da progettare costruttivamente. E’ fondamentale dunque prioritariamente, ha spiegato il Prof. Ferrini, interrogarci sulla natura profonda dell’essere: chi siamo? Chi muore oppure che cosa muore? Chi compie il viaggio post-mortem? Rispondendo a tali importanti interrogativi e a tanti altri posti direttamente dal pubblico, riguardanti anche tematiche di grande attualità come l’eutanasia, l’accanimento terapeutico e il suicidio, il relatore ha fornito strumenti teorici e pratici, incluso un esercizio finale di Visualizzazione Meditativa, che possiamo utilizzare nell’assistenza psicologica al morente e in generale come preparazione alla morte e al viaggio post-mortem, in modo da favorire un percorso di consapevolezza che sempre più ci avvicini alla dimensione spirituale dell’essere, che è oltre i limiti spazio-temporali e che ci permette di sperimentare in vita quella pienezza e beatitudine che possiamo riscoprire soltanto nel profondo, dentro ognuno di noi.
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