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Inserito il - 24/10/2023 : 11:06:12
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Le tre caratteristiche dell'universo secondo il buddhismo
del monaco buddista Isi Dhamma traduzione dal francese di Guido
Tutto ciò che esiste nell'universo è sottoposto a 3 caratteristiche:
- anicca. Ogni cosa è limitata ad una certa durata e, di conseguenza, destinata a sparire.
- dukkha. Ogni cosa è insoddisfacente. Non vi è nulla di cui ci si possa fidare, nulla che possa dare una vera felicità.
- anatta. Ogni cosa è sprovvista di un sè. Non esiste un'entità personale, nulla può venire controllato.
Anche se ce lo dimentichiamo, quando siamo immersi in un momento di piacere, ognuno di noi è cosciente che l'esistenza è piena di sofferenze, di noie, di insoddisfazioni di ogni genere e ciò non finisce mai. Questa caratteristica (dukkha), che è un'evidenza, è descritta da tutte le scuole di pensiero, in tutti i sistemi religiosi.
La nozione di impermanenza (anicca) è meno manifesta. Ma è, tuttavia, sovente insegnata dai sistemi religiosi e filosofici.
Quanto alla natura di assenza di un sè (anatta) è una nozione talmente nuova, di cui solo Buddha parla. E', da lungi, il punto più sottile ed essenziale di ogni conoscenza. E' la base di ogni comprensione del dhamma.
- anicca
L'aspetto dell'impermanenza
Anicca è una parola pali, composta da due parti: "nicca" e la particella privativa "a". "Nicca" è l'idea di permanenza, di continuità. Anicca significa l'assenza di continuità, l'assenza di permanenza. Anicca è una legge universale, che si applica ad ogni fenomeno dell'universo, ad ogni nostra esperienza sensibile.
Tutto ciò che avviene nel mondo, nelle nostre percerzioni, è destinato a sparire, così com'è apparso. Ciò che caratterizza la natura dell'impermanenza, l'aspetto del cambiamento, è giustamente che i fenomeni sorgono. E' nel momento in cui un evento si produce che ci mostra in modo spiccato il suo aspetto di impermanenza, poichè, prima che apparisse, non era lì; e, di colpo, sorge. C'è stato un cambiamento, e ciò, in particolar modo quando un fenomeno si presenta. Successivamente, esso dura per un certo tempo, e, quindi, si dilegua ineluttabilmente. Se è apparso, è obbligatorio che finisca per sparire. Ciò vale per ogni cosa, senza nessuna eccezione.
Anicca è una caratteristica comune ad ogni fenomeno, ad ogni realtà che proviene dalle nostre esperienze sensibili, coscienti.
Di conseguenza, la nostra coscienza si trova in perpetua mutazione ed ogni nostra esperienza, anche se si tratta di esperienze di meditazione, di trascendenza, oppure mistiche sono esperienze in mutamento. Se giungiamo a provare, tramite la meditazione, degli stati trascendenti, di unificazione, come quelli che ci vengono descritti nella letteratura spirituale, potremmo immaginare di avere toccato una sostanza eterna. Una sostanza immutabile, che non sia sottomessa a tale legge di impermanenza. Ma, è proprio il fatto di avere raggiunto questa esperienza che mostra chiaramente quanto essa sia soggetta al mutamento. Perché? Perchè, prima questa consapevolezza non era stata toccata. Esiste, dunque, qualcosa che inizia, che perviene ad uno stato di fusione coscienziale, dovuto a diversi esercizi spirituali, o a diverse meditazioni. Non si tratta, quindi, del rifugio che noi cerchiamo, di stabilità, di eternità. E, di fatto, questo rifugio non esiste.
Esistono essenzialmente due categorie di allenamento che noi possiamo seguire. Vi sono degli allenamenti che entrano nella categoria di samatha e quelli che appartengono alla categoria che chiamiamo vipassana.
Vipassana è un termine pali che significa la visione diretta, la visione superiore. Visione superiore nel senso che essa sopravanza ogni altra, perchè, appunto, diretta; si tratta di una visione diretta della realtà.
Cosa è la realtà? La realtà è un fatto ineluttabile, che viene universalmente verificato e che si applica a tutti i fenomeni. Questo fatto è triplice:
- Tutti i fenomeni che appaiono debbono scomparire.
- Tutti i fenomeni sono assoggettati e sottomessi alla legge della non permanenza e del cambiamento anicca.
-- Tutti i fenomeni che appaiono durano un certo tempo. Durano un certo tempo, ma non a lungo. Durano sempre troppo quando sono insoddisfacenti e mai a lungo quando sono gradevoli.
Perciò posseggono una natura insoddisfacente. Solo la loro presenza è già fonte di sofferenza, che viene chiamata dukkha. Infine, questi fenomeni cessano, spariscono, indipendentemente dalla nostra volontà, dal nostro controllo. Spariscono quando è necessario che spariscano. Quando le loro cause si esauriscono, i fenomeni si dissolvono. Questo loro carattere incontrollabile si chiama anatta. Si tratta dell'assenza di un sè, dell'assenza di controllo, di direttive.
- Lo sviluppo della presenza di spirito
Per sviluppare vipassana bisogna fare quel che Buddha insegna, con il nome di satipatthana bhavana. Bhavana è l'allenamento. Satipatthana significa: sati, l'attenzione, la presenza di spirito, la coscienza (nel senso di "stare attenti"); "patthana", "upatthana" significa lo sviluppo, la maturazione. Satipatthana, allora, vuol dire lo sviluppo, la maturazione, lo stabilirsi della presenza di spirito. Bhavana è l'allenamento al crescere della presenza di spirito.
Se si seguono i consigli dati da Buddha, per sviluppare la presenza di spirito, per sviluppare l'attenzione, ecco che, senza che lo si voglia e senza che lo si possa controllare, anche vipassana si manifesterà. Per quanto riguarda vipassana in se stesso, non v'è nulla che si possa fare.
Ci sono delle persone che pretendono di insegnare vipassana. Essi insegnano degli esercizi che si basano tanto sulla concentrazione, tanto su di una sorta di investigazione verso ciò che essi chiamano la realtà. Investigazione nei quattro elementi, nelle posture, nelle sensazioni. In effetti, questo non è vipassana. Essi credono che vipassana sia una cosa che si debba fare, che si debba "praticare"; e che se si compie tale esercizio ci si trova in vipassana e, con quest'altro, si è in samatha.
Se lo stesso Buddha non ha mai praticamente adoperato il termine vipassana, questo non è un caso. Egli utilizzava il termine satipatthana. Il sermone che contiene le istruzioni nelle quali egli dice ciò che si fa in vipassana, non si chiama il vipassana sutta; non esiste, d'altronde, alcun sutta che si denomina così. Si chiama il satipatthana sutta, il discorso sullo stabilirsi dell'attenzione. In questo discorso, egli non parla di vipassana. Dice solamente in cosa consiste l'allenamento al satipatthana.
Così, quel che ci interessa non è veramente il vipassana ma il satipatthana. Se noi ci alleniamo, se seguiamo le istruzioni date da Buddha per sviluppare la presenza di spirito, la coscienza e l'attenzione, automaticamente, in un modo del tutto naturale ed incontrollabile, vipassana si svilupperà. Vipassana è unicamente la visione diretta che risulta dalla presenza di spirito, e dell'attenzione. Si tratta, quindi, solo di portare la propria attenzione sulla realtà.
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