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Inserito il - 24/11/2007 : 12:39:56
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Il silenzio colpevole sul Tibet (oggi, come la Birmania)
LUNEDI' 26 NOVEMBRE ALLE ORE 11,30 SALA DEL CARROCCIO CAMPIDOGLIO - ROMA
IL DALAI LAMA A PECHINO PER LA CERIMONIA INAUGURALE DELLE OLIMPIADI
INIZIATIVA PROMOSSA DA: Paolo Masini - Consigliere Comune di Roma - Edoardo Del Vecchio - Consigliere Provincia di Roma - Enzo Foschi - Consigliere Regione Lazio in collaborazione con Marialaura Di Mattia - Associazione Amici del Tibet
Partecipano insieme ad associazioni, realtà, testimonial del mondo dello sport e dei diritti umani, l'Associazione Donne Tibetane (Italia), Comunità Tibetana In Italia
Uno dei principi fondamentali della Carta Olimpica recita: "Qualunque forma di discriminazione nei confronti di paesi e persone per motivi razziali, religiosi, politici, di sesso e per altri aspetti è incompatibile con il Movimento Olimpico" (articolo 5).
Come d'uso dal 1993, la Cina in quanto paese ospite delle Olimpiadi, lo scorso 31 ottobre ha introdotto una Risoluzione all'ONU dal titolo "Costruire un mondo migliore e pacifico attraverso lo sport e gli ideali Olimpici" intesa a dare sostanza agli ideali Olimpici di pace, amicizia, comprensione globale: il fatto che proprio la Cina quest'anno abbia introdotto una tale Risoluzione è una lampante contraddizione con l'occupazione militare e la brutale repressione in Tibet.
Chiediamo al Comitato Olimpico Internazionale (CIO) di adoperarsi affinché la Cina rispetti almeno la Risoluzione che essa stessa ha introdotto con un gesto simbolico che va nella direzione della comprensione globale e della soluzione pacifica dei conflitti, ovvero con l'INVITARE IL DALAI LAMA, PREMIO NOBEL PER LA PACE, ALLA CERIMONIA D'INAUGURAZIONE DEI GIOCHI OLIMPICI (con gli stessi onori tributati a un capo di stato ed allo scopo di iniziare un dialogo costruttivo sulla questione tibetana).
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Il Tibet come la Birmania: si stanno verificando gli stessi soprusi, la stessa soppressione delle libertà umane, civili e religiose. In Tibet, come in Birmania, le rivolte di massa sono state guidate dai monaci buddhisti, saldando la componente religiosa della società a quella politica per chiedere un cambiamento di regime. Nei filmati d'archivio delle manifestazioni del 1988 in Tibet vediamo ovunque violenza, pestaggi, sangue, poliziotti che picchiano monaci, li prendono a bastonate, li trascinano fuori dai monasteri.
I monaci tibetani conoscono da tanto tempo la repressione militare. I carriarmati dell'esercito cinese hanno iniziato la drammatica invasione del territorio tibetano sin dai primi anni '50, massacrando l'eroica resistenza tibetana e stroncando tutti i tentativi di dialogo; di quella stessa Cina che è il principale partner economico, politico e militare della giunta dei generali di Rangoon. La Cina già controlla l'economia di tutto il nord della Birmania, dove addirittura la moneta corrente è lo Yuan cinese, i contratti di telefonia mobile si pagano a Pechino e non a Rangoon.
Spesso Tibet e Birmania nell'immaginazione occidentale sono considerati paradisi turistici, luoghi d'evasione e di sogno, di avventure magico-mistiche, con la complicità dei mezzi di "distrazione di massa" e dei tour operator che incoraggiano un viaggiare inconsapevole purché lucroso.
Ma per i tibetani il loro è un Paese oppresso da più di mezzo secolo di brutale dittatura militare che reprime violentemente ogni forma di dissenso. I tibetani, sotto il regime cinese, sono privati di tutti quei diritti che diamo per scontati e garantiti, quali la libertà di parola e di assemblea. Chiunque venga sorpreso ad esercitare questi diritti viene messo in prigione.
A seguito della rivolta popolare di Lhasa del 1959, soffocata nel sangue, che ha visto l'esilio del Dalai Lama e di migliaia di tibetani, circa un milione e mezzo di tibetani sono morti a causa dell'occupazione cinese, in un'atroce campagna di pulizia etnica che passa anche attraverso il corpo delle donne tibetane, con aborti forzati e sterilizzazioni di massa.
In Tibet il genocidio culturale (la distruzione delle università monastiche, dei templi e del patrimonio artistico-architettonico, assieme all'emarginazione linguistica) è oggi accompagnato da un etnocidio per diluizione tramite la politica colonialista del trasferimento di popolazione cinese di etnia Han migrante dalla sovrappopolata Cina verso il Tetto del Mondo, rendendo così i tibetani una insignificante minoranza nel loro stesso territorio: i cinesi già superano numericamente i tibetani, 8 milioni contro 6 milioni. La ferrovia Golmud - Lhasa, dal disastroso impatto ambientale, facilita questo processo che vede i tibetani discriminati e svantaggiati nello "sviluppo" e "modernizzazione" che stanno correntemente trasformando l'economia e il paesaggio tibetani, favorendo i coloni cinesi e affidando loro tutti i ruoli decisionali.
La repressione delle libertà religiose è arrivata a tal punto che il semplice possesso di una foto del Dalai Lama è considerato un crimine. Il reato d'opinione viene generalmente punito con imprigionamenti arbitrari, torture fisiche e psichiche, condanne a morte. I dissidenti in prigione in Cina sono però un "segreto di stato".
Non si può continuare a chiudere gli occhi davanti alle drammatiche violazioni dei Diritti Umani dei popoli tibetani e birmani, ma anche di quelli uighuri, mongoli, dello stesso popolo cinese Han, dei praticanti della Falun Gong, davanti alla quantità spaventosa di condanne a morte eseguite (ormai si stima un minimo di 10.000 l'anno), sull'uso della tortura sui prigionieri di coscienza, pur di non disturbare manovre e accordi economici con la Cina, in una totale mancanza di etica della politica e dell'economia.
Certo la Cina, paradiso terrestre del capitalismo, che di comunista ha solo il nome e il sistema di potere a partito unico, ha armi micidiali nella competizione globale. Infatti la delocalizzazione in Cina, sulla base dei costi e orari di lavoro (100 euro al mese, turni di più di 12 ore al giorno con solo 2 pause per andare in bagno), la flessibilità illimitata, lo sfruttamento del lavoro minorile, la violenta repressione delle proteste e del diritto a organizzare sindacati indipendenti, ha portato nel breve tempo grandi vantaggi alle multinazionali.
In questa corsa ai profitti derivanti basilarmente dallo sfruttamento di manodopera a basso costo e da una crescita industriale a cui sono state sacrificate pubblica sanità e rispetto dell'ambiente, è stata avanzata la proposta di rimuovere l'embargo sulla vendita delle armi giustamente imposto dopo il massacro di piazza Tien an men! L'importanza della questione tibetana è legata inoltre non solo agli altissimi fattori di crisi interna, ma anche al suo ruolo strategico nel contesto geopolitico asiatico. Il primo, più antico e
più forte sostenitore della giunta militare birmana che opprime la popolazione ed i monaci buddhisti,
così come il mandante dei carriarmati che hanno invaso il Tibet,
rimane il governo cinese. Rincorrere la Cina, dimenticando libertà e democrazia, sta inoltre svalutando il valore degli operai a livello globale. Come sostiene Han Dongfang, sindacalista cinese arrestato e torturato nel 1989 "... nessuno può competere con la Cina, perché nessuno può competere con la totale mancanza di diritti".
Interdipendenza mondiale: dopo gli USA, la Cina è il principale produttore dei gas responsabili dell'effetto serra ed emette le più alte concentrazioni di anidride solforosa. E' il paese che emette le più alte quantità di CO2 nell'atmosfera.
La Cina, ovvero il sostegno alla dittatura militare birmana, la repressione in Tibet, il giro di vite sul terreno dei Diritti Umani e Civili: sta crescendo un sempre più consistente movimento di opinione pubblica a livello sia nazionale che internazionale per il boicottaggio delle Olimpiadi di Pechino.
La Cina sta giocando nel nostro mondo e noi dobbiamo farla giocare secondo le regole del nostro mondo a partire dal trattamento dignitoso dei lavoratori e dall'apertura delle comunicazioni, la libertà di espressione e di pensiero, l'auto-determinazione, l'abolizione della pena di morte.
In conclusione, va sottolineato il legame culturale tra il popolo tibetano e quello birmano, profondamente permeati dal messaggio del Buddha della Responsabilità Universale, dell'Interdipendenza Reciproca, entrambi conseguentemente portatori di una cultura politica globale di pace e dialogo.
È necessario riflettere sul carattere esemplare della lotta nonviolenta del popolo tibetano e di quello birmano, una lotta che non ha incrementato il mercato internazionale delle armi:
i tibetani come i birmani sono pronti a morire, ma non a uccidere per la loro causa.
Lo scorso settembre, all'inizio delle manifestazioni in Birmania, Tenzin Gyatso, XIV Dalai Lama del Tibet e Premio Nobel per la Pace, ha dichiarato: "Esprimo il mio sostegno e la mia solidarietà al movimento pacifico per la democrazia in Birmania e faccio appello a tutti coloro che nel mondo amano la libertà affinché appoggino queste iniziative nonviolente. Prego per il successo di questo movimento pacifico e perché sia presto rilasciata Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la Pace".
Il problema Birmania e Tibet deve essere al centro di ogni incontro a livello internazionale.
Perché il silenzio è sempre colpevole.
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