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Inserito il - 22/04/2008 : 11:57:58
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Oltre Nascita e Morte Come trasformare un evento traumatico in un'occasione di crescita e di evoluzione
Il fenomeno morte è un fatto ineliminabile dalle nostre vite. Esso viene abitualmente vissuto come fine di tutto, dissoluzione, scomparsa, con tonalità che vanno dal rassegnato al drammatico, fino al tragico. Eppure la morte non esiste come entità, ma solo come concetto. Essa è in verità un’astrazione. Solo la vita è reale, eterna e immutabile. Attraverso un percorso di consapevolezza profonda, la persona prossima a questa tappa della vita potrà affrontarla percependo che la propria identità è diversa da quella del corpo e scoprendo di fronte a sé una nuova fase della propria eterna esistenza, tutta da progettare costruttivamente.
[Libro - 176 pagine - cm 14,5x21; codice ISBN: 88-547-0002-9]
Estratto da "Psicologia del Ciclo della Vita"
http://www.csbstore.com/it/index.php?main_page=product_info&products_id=13 […] Normalità e malattia non esistono, se non nella visione illusoria dell’uomo; nella realtà, esiste l’immenso percorso dell’evoluzione spirituale, ed esistono vicende e accidenti su questo percorso: tappe, progressi, ristagni e deviazioni, cadute, imprigionamenti e liberazioni. Alcuni tra questi vengono isolati e classificati dalla medicina e dalla psicologia come “malattia”, studiata e curata in una prospettiva che troppo spesso non tiene conto del contesto evolutivo in cui essi si inseriscono. Si possono così ottenere risultati rispettabili, apprezzabili e utili, a breve termine e limitatamente ai sintomi; si può anche avere una certa capacità preventiva, ma la portata e i mezzi della prevenzione e della cura medica e psicologica non possono andare oltre e raggiungere la sostanza, proprio perché non vengono contestualizzati nella realtà e nel processo di progresso spirituale, che rimangono invisibili, seppur talora lontanamente intuibili.
La moderna psichiatria chimica ha rivoluzionato l’approccio alla malattia mentale. A proprio favore vanta risultati concreti, tra i quali numerose conferme che gli squilibri chimici del cervello sono direttamente collegati a malattie mentali: depressioni, fobie, e via dicendo. Molti medici, spinti dalla predominante cultura ispirata al materialismo, sarebbero portati a concludere che le sostanze chimiche possono dare piena risposta ai misteri e ai problemi del rapporto tra corpo e mente, che l’Universo è un accidente, al massimo di tipo evoluzionistico, che la materia precede la mente, che la coscienza è una specie di sottoprodotto della materia, che la vita umana, con la nascita e la morte, non serve nessun proposito più alto. Tenteremo di spiegare che non è così. L’uomo non è semplicemente un organismo che deve cercare di restare o ritornare in salute (già questa concezione produce malattia), ma è un essere cosciente che ha davanti a sé un percorso verso una meta e che, per raggiungerla, deve evolvere psicologicamente realizzando una ad una le componenti più nobili della propria personalità: desiderio di sapere e capacità di conoscere, gioia, senso morale, bellezza, forza di volontà, compassione, saggezza e Amore.
Riteniamo sia un successo riuscire ad aiutare le persone a liberarsi da identificazioni e condizionamenti, anche da quelli considerati “normali” ma che in realtà costituiscono le peggiori tra le illusioni e le schiavitù. È stato ampiamente dimostrato che la cosiddetta “normalità” è essa stessa psicopatologia, fobie, blande o croniche, manifestazione di cecità o immaturità, che noi non notiamo semplicemente perché la maggior parte degli individui condivide le medesime sindromi. Tra queste, la paura della morte è la più comunemente diffusa, l’ultimo dei tabù. Una vera cura psicologica opera da dentro la persona; è un lavoro che si fa su noi stessi, non qualcosa che viene indotto dall’esterno, perché in tal modo si costituirebbe un’interferenza, un condizionamento, cosa che dobbiamo accuratamente evitare, anche perché il nostro scopo è quello di liberare dai condizionamenti, non di indurne di nuovi e per far ciò possiamo mettere a disposizione solo strumenti idonei. La cura di tipo occidentale è essenzialmente cura dei sintomi di manifestazioni più o meno isolate, e tende a ripristinare il suddetto stato di “normalità” anziché quello di salute olistica così com’è intesa nei testi dello Yoga1.
La cura fisiologica, psicologica, etico-morale dello Yoga di cui mi interesso, è fondata sulla sadhana bhakti (disciplina spirituale), attraverso la quale l’individuo induce e abilita sé stesso a reinterpretare la propria immagine (la coscienza di sé), a trasformarsi e guarirsi psicologicamente, influendo in maniera positiva, seppur indiretta, anche sul proprio ambiente. Fino a metà del secolo scorso, le basi della bio-medicina sono state vissute universalmente come solide e, agli occhi dei suoi teorici, anche come molto convincenti. Poi, a seguito di scoperte scientifiche e di fronte alla crescente insoddisfazione di operatori sanitari e utenti di questa branca della medicina, la fiducia nelle terapie rivolte solo al corpo ha cominciato a vacillare per cui, dapprima timidamente, poi in modo sempre più diffuso, con coraggio alcuni studiosi hanno cominciato a prendere in considerazione un più ampio orizzonte concettuale di salute e di medicina, ad esempio la stretta relazione e interazione corpo-mente, da quel momento definita psicosomatica. Ciò ha portato ad una concezione terapeutica in certa misura olistica, ossia ad un approccio consapevole del fatto che il punto di partenza della diagnosi e della cura deve essere la comprensione della realtà completa di una persona in quanto tale, non solo in quanto malato.
Cura (in inglese cure) e prendersi cura, assistere (in inglese care), differenziano due scopi distinti che i medici normalmente confondono nella pratica. Il termine cura si riferisce alla diagnosi e al trattamento farmacologico della malattia, mentre prendersi cura si riferisce al farsi carico di qualcuno, alle indagini e agli interventi posti in atto per prendere decisioni per il bene e benessere della persona. Di conseguenza, cura ha più a che fare con gli aspetti oggettivi di una situazione patologica, mentre prendersi cura riguarda i significati soggettivi dell’esperienza malattia-trattamento. Cura significa che il medico “fa qualcosa” al malato, prendersi cura esprime fondamentalmente il fare qualcosa “con” la persona (Benoliel, 1972, 1976). La prima domanda da porsi è: quando l’obiettivo cura non è più raggiungibile, cosa va basilarmente fatto per prendersi cura? Il cancro è fra i prototipi delle malattie mortali; quasi tutti accomunano l’idea di avere un cancro con quella di morire. Facendo tesoro di quanto è stato osservato sullo stadio avanzato delle malattie oncoequivalenti e sulle loro ripercussioni, dobbiamo soprattutto mettere in evidenza per voi alcuni problemi di base in gran parte ricorrenti per i malati terminali e per le loro famiglie2.
La millenaria scienza vedica della salute considera l’essere umano una complessa combinazione di energie bio-psichico-spirituali, perciò attribuisce grande importanza curativa, oltre alla farmacologia e alla chirurgia, al tipo di alimentazione, alla condotta etica del soggetto e all’influsso della mente sul corpo. L’indebolimento delle difese immunitarie, lo sviluppo della malattia, il processo di guarigione e, infine, l’accettazione consapevole e serena del passaggio conosciuto come morte, sarebbero l’esito di continue interazioni del complesso corpo-mente-spirito. [...]
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Note:
1. Principalmente: Bhagavadgita, Bhagavata-Purana, Vedanta, Yoga-sutra, Katha e Shvetashvatara Upanishad.
2. Charles A. Garfield. Assistenza psicosociale al malato in fase terminale. McGraw Hill, Milano, 1987.
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Inserito il - 08/05/2008 : 11:54:48
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Roma, 26 Aprile 2008 ore 9.30-13.00; 15.00-19.00 I.F.O. Istituto Regina Elena e Istituto San Gallicano Mostacciano Relatore: Marco Ferrini (Ph.D. Psychology). Professore incaricato di Colleges e Universities Americani. International Affiliate of the American Psychological Association
La morte viene socialmente vissuta come un tabù, un concetto cupo da cui rifuggire e da temere, termine ultimo della vita e di ogni piacere ad essa connesso.Contrariamente a questo punto di vista, la tradizione bhaktivedantica ci insegna a non vedere nascita e morte come opposti estremi del segmento vita, ma piuttosto come infiniti punti di una circonferenza rappresentante l'intera esistenza; in virtù di tali premesse la psicologia del ciclo della vita permette di offrire un valido sostegno a coloro che, più o meno prematuramente, sono chiamati a confrontarsi con l'evento morte direttamente o indirettamente.
Una visione dell'uomo e dell'esistenza centrata sull'eternità permette una diversa comprensione della morte: chi è in realtà a morire? La psicologia indovedica inquadra diverse costituenti materiali dell'essere umano: grossolane (corpo di carne) e sottili (falso ego e intelletto); ma soprattutto riconosce al centro dell'esperienza vivente un principio vitale spirituale: l'atman. La persona, fintanto che è soggiogata dai forti condizionamenti acquisiti nel corso delle varie incarnazioni, rimane imprigionata nel ciclo samsarico di nascite e morti. Ella potrà liberarsi da questa morsa perenne solo tornando ad acquisire una consapevolezza superiore di sé stesso, completamente spirituale e priva di ogni identificazione con riflessi distorti del sé (falso ego). L'essere incarnato in un corpo umano, in quanto potenzialmente in grado di controllare i propri impulsi più istintuali, ha l'opportunità, durante la sua vita di scegliere percorsi di evoluzione luminosa o di involuzione tenebrosa; la morte, così come ogni altra crisi che potrebbe manifestarsi nel corso della vita, è da considerarsi come un'occasione per dare una svolta nel ciclo esistenziale: intraprendendo o portando a compimento il percorso di evoluzione luminosa.
La corretta preparazione del morente al passaggio è quindi fondamentale e dev'essere agevolata in ogni modo: dai familiari, anch'essi da preparare adeguatamente, dal medico che, oltre a dover effettuare una comunicazione appropriata deve, per primo, aver elaborato il concetto di morte per essere efficace nell'offrire un aiuto, fino all'ambiente circostante nel suo complesso; il tutto finalizzato a consentire una capacità elevata di discernimento e una centratura nel sé e nella meta da raggiungere da parte di colui che sta dipartendo. Questa preparazione è bene iniziarla subito, qui ed ora, perché ignoriamo il tempo che ci è dato di avere e non possiamo sapere in quale condizione psico-fisica arriveremo al momento d'intraprendere questo viaggio. Dal momento che il sistema nervoso non distingue fra esperienze visualizzate in meditazione ed esperienze realmente accadute, la visualizzazione di un nostro rapporto positivo con l'evento morte quale passaggio esistenziale da una dimensione ad un'altra, sarà tanto più efficace e funzionale quanto più riusciremo a viverla intensamente.
Grazie ad una magistrale esposizione teorica e conduzione dell'esperienza pratica del Professor Ferrini, questo Seminario è stato un'esperienza altamente formativa ed efficace nel proporre una visione tanto antica quanto innovativa della vita, della nascita, della morte e dell'uomo, visione che dovrebbe essere abilmente padroneggiata da chiunque operi nel settore sanitario e non solo, in contatto con malati terminali o con persone affette da disagio psicologico. I partecipanti al Seminario, entusiasti, hanno rivolto diverse interessanti domande e sono rimasti positivamente colpiti dalla particolare esperienza pratica, di grande aiuto per sé stessi e in una prospettiva di sostegno ad altri. L'evento, per il quale è stato richiesto l'accreditamento E.C.M., ha ottenuto il patrocinio dell'Ordine degli Psicologi del Lazio.
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