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LA GENESI DELLA TEORIA MUSICALE 4 DELLA CRITICA DEL GIUDIZIO
Piero Giordanetti Kant e la musica
4. Intorno al 1775
4.1. L'analogia fra suoni e colori
I giudizi di Kant sull'invenzione di un clavicembalo oculare prospettata da Louis Bertrand Castel non sono completamente positivi e presuppongono comunque una posizione già ben definita; sebbene nelle Lezioni di antropologia del semestre invernale 1775-76 sia presentata ipoteticamente l'idea di un gioco delle sensazioni che coinvolga la vista, il tentativo di realizzare un clavicembalo oculare è valutato negativamente. Poiché la sensazione può aver luogo anche attraverso la luce e il colore, che ne costituiscono un'altra specie rispetto alle onde sonore, ci si potrebbe credere autorizzati ad aspettarsi che anche un gioco di sensazioni per gli occhi sia possibile; si è già pensato, nota Kant ed evidente è l'allusione a Castel, di poter produrre consonanze e dissonanze fra i colori per il piacere della vista e di dare concreta realizzazione a un'arte che si definisse gioco di sensazioni per gli occhi. Contro questa ipotesi di un gioco per gli occhi Kant fa però valere l'obiezione che le differenze fra i due sensi sono troppo rilevanti per poter essere sottaciute; mentre i suoni esercitano un'azione molto forte sull'udito, l'impressione che si riceve dalla luce e dai colori è molto più debole, perché la durata dei singoli colori non permette il sorgere di un rapporto di successione continua; solo i suoni possono presentarsi in grande quantità in breve tempo, mentre non appena il colore ha colpito l'organo di senso, la sua impressione è esaurita. Inoltre, la vista riguarda lo spazio, l'udito il tempo; per queste ragioni Kant ritiene che un clavicembalo ottico sia irrealizzabile (cfr. Riflessione 1483). Sebbene Kant propenda per un'analogia molto stretta fra suoni e colori egli non si spinge come Castel fino al punto di proporre un'identificazione; non è possibile produrre una musica per gli occhi, perché il contrasto fra colori è analogo, ma non identico ai rapporti matematici fra suoni (cfr. AA XXV, pp. 496-498).
Quando poi ci si prefigga di riportare alla luce il contesto originario nel quale l'equiparazione di suono [Schall] e luce è sorta in Kant, la lettura delle Riflessioni e delle Lezioni di fisica dimostra che questa analogia era già tema dei manuali usati dal filosofo. Eberhard, Erxleben e più tardi Karsten riferiscono questa teoria nella forma assegnatale da Leonhard Euler e non si affidano a Kircher, Castel o Newton. Nel volume XXIX dell'Edizione dell'Accademia è stata pubblicata una serie di appunti che sembra risalire a una lezione tenuta, probabilmente, verso la metà degli anni Settanta, nella quale il tema è discusso ampiamente e le teorie di Euler sono riferite con piena approvazione. Dapprima è esposta la teoria di Newton sulla diffusione della luce sotto il titolo di “sistema dell'emanazione”: la luce sarebbe un'emanazione di corpuscoli che hanno origine dal corpo illuminato e si diffondono con tale ampiezza che i raggi luminosi darebbero luogo al formarsi di spazi privi di luce. A questo sistema si contrappone quello di Euler, il quale compara la luce con il suono [Schall] e afferma che anche a distanze notevoli tutte le parti risultano illuminate; questa opinione - soggiunge il testo - è molto più corretta: i colori sono per gli occhi esattamente ciò che il suono è per l'udito e la funzione dell'aria è analoga a quella dell'etere. Vi è una tale affinità fra colori e suoni che vi sono esattamente sette colori fondamentali e sette suoni fondamentali; i colori non hanno un'esistenza autonoma, ma sorgono dalla modificazione della luce, nello stesso modo in cui dalla modificazione del suono [Schall] si originano i Töne. Se si fa cadere un raggio luminoso su un prisma, gli intervalli fra i colori risultano analoghi agli intervalli fra i suoni su un monocordo (AA XXIX, pp. 84-85). In base a queste considerazioni si potrà accogliere la tesi proposta da Adickes relativamente alle Riflessioni di Kant sulla fisica: “Quel parallelismo fra sensazioni auditive e sensazioni ottiche si fonda naturalmente sulla teoria ondulatoria che L. Euler contrappose alla teoria dell'emanazione di Newton nella sua Theoria lucis et colorum (Opuscula varii argumenti, 1746, pp. 169-244) riallacciandosi stranamente non a Chr. Huyghens, ma a Descartes. Anche Euler stabilisce il parallelismo dei due ambiti sensibili”. Questa osservazione può però essere estesa: l'analogia fra suoni e colori è senza dubbio nata, in origine, dall'interesse per problemi fisici e dalla conoscenza della teoria di Euler, ma è stata poi ripresa nell'antropologia e infine nella Critica del Giudizio.
4.2. Il Bildungsvermögen
Già nelle Lezioni di antropologia del WS 1775/76 si può notare un'evoluzione in questo concetto: la determinazione del carattere dei popoli presenta il ricorso al nesso fra idea e ragione (cfr. AA XXV, pp. 654-661). All'inizio degli anni Settanta il concetto di “idea” non era ancora posto in rapporto con la musica; l'analisi dei caratteri del gusto delle diverse nazioni mostrava nei cinesi un gusto privato e individuale, inadatto a comprendere la bellezza. Questo giudizio negativo è mantenuto, ma la motivazione fa perno su un nuovo concetto: i cinesi sono dotati di un particolare interesse per tutto ciò che riguarda l'intuizione e il fenomeno, i quali non sono sufficienti a fondare né la morale, né la filosofia, né la matematica; neppure la bellezza, che deriva dal rapporto fra sensibilità e intelletto, può esser da loro compresa. Sebbene nelle belle arti da loro realizzate si possano scorgere bellezze sensibili, essi manifestano l'incapacità di giungere all'idea del tutto, la quale presuppone ordine e proporzione e deve essere considerata il vero oggetto del gusto. Ciò non vale solo per la pittura e per l'architettura, ma anche per la musica, la cui fonte è l'isolata impressione sensibile, percepita attraverso la sensazione in opposizione all'idea del tutto. Si potrebbero sintetizzare così le osservazioni precedenti: nella concezione musicale dei popoli orientali è assente il concetto del tema. L'atteggiamento di disprezzo nei confronti delle scienze e delle arti dei cinesi deriva dalla considerazione che in essi non si può osservare la presenza della capacità di concepire l'idea della totalità:
La bellezza della musica non è avvertita dai popoli orientali, essi non comprendono che si tratta di bellezza quando diversi strumenti suonano contemporaneamente in modo armonico in diverse tonalità, e ritengono che questa sia confusione perché non sono in grado di cogliere il concetto del tema che è dominante e viene espresso nella musica. Nei loro edifici non vi è né sublimità, né ordine, né proporzione, né raffinatezza, né gusto perché tutti questi fattori si fondano sul concetto. La bellezza autentica discende dall'accordo fra sensibilità e intelletto e ciò è assente in loro (AA XXV, pp. 655-656).
Anche la Riflessione 332 (1777-78; 1773-75?) nota:
(facultas (formatrix o) technica o architectonica; entrambe rientrano nel Bildungsvermögen, ma la seconda considera prima l'intero e poi le parti come sue suddivisioni) (il pittore dispone in gruppi (costruisce un intero a partire dal molteplice; inoltre non ha alcun concetto dell'intuizione, ma è solo fenomeno); la musica si serve del tema) (AA XV, p. 131).
Nella Riflessione 806 è ben evidenziato il nesso fra musica e giudizio figurativo:
Sensazione, Giudizio, spirito e gusto. Il Giudizio può essere sensibile o riflettente. E consiste nel trasformare rappresentazioni in un'immagine o in un concetto. La disposizione ordinata ha un nesso con il disegno, il progetto o tema. La musica è, per così dire, una conoscenza sensibile bella. Il Giudizio figurativo si interessa solo dei mezzi della coordinazione e della loro agevolazione, perciò unità, molteplicità, contrasto. Non si interessa dell'utilità di ciò che piace [gefallen] in modo mediato [...] (AA XV, p. 355).
Kant si è imbattuto in analoghe considerazioni sui cinesi nei testi di Du Halde e di Schwabe. A prescindere ovviamente dal fatto se l'idea kantiana della cultura del popolo cinese sia più o meno adeguata e accettabile, è rilevante nel contesto della presente ricerca che questo atteggiamento di disprezzo esprima una ben determinata concezione del bello musicale: il bello si fonda sull'accordo fra sensibilità e concetto, laddove concetto è l'idea del tutto, che nella musica corrisponde al tema. Il tema non si può separare dall'accordo armonico dei diversi suoni degli strumenti e quindi è giustificato affermare che armonia e tema sono parti integranti del concetto di bellezza. Inoltre, queste osservazioni antropologiche sul gusto dei popoli orientali sono rilevanti perché musica e architettura vi sono poste in un rapporto di parallelismo: all'armonia corrisponde nell'architettura una forma di ordinamento che coincide con la proporzione delle parti. Sia il concetto del tema sia il suo rapporto con il Bildungsvermögen e, infine, il parallelismo tra musica e architettura sono già presenti nel 1770; ciò che è del tutto nuovo però è il legame fra genio e idea.
L'indagine sulla natura del Bildungsvermögen ci offre anche chiarimenti sulla concezione dell'armonia: il Bildungsvermögen dell'ascoltatore deve comprendere il rapporto fra suoni, armonia e tema. Tema e armonia sono qui considerati prodotti già realizzati, la cui genesi è spiegabile solo ricorrendo al genio; mentre nel 1770 i documenti non ci restituiscono una particolareggiata concezione del genio, intorno al 1775 il genio è considerato origine sia dell'attività scientifica sia dell'attività artistica: l'arte musicale è ora espressamente definita arte del genio, arte, quindi, che non può essere derivata dal principio dell'imitazione:
La facoltà formatrice che gareggia con la natura (nel fenomeno) è arte (bella); deve avere una sua propria regola che ha però principi soggettivi, quindi [la] convenienza alle nostre leggi di un esercizio libero delle nostre forze. È una creazione in base al nostro senso.
In un'aggiunta contemporanea alla Riflessione Kant scrive a chiarimento delle prime righe: “(non imitativa; perché l'arte ha la sua propria legge, come la natura, e il suo proprio mondo, ovvero i fenomeni)” (R. 959; AA XV, p. 423, 1776-78).
Chi la descriva come imitatio non riesce a penetrare nelle profondità della sua vera natura. Ricondurre la creazione musicale al genio non è operazione irrilevante: la considerazione di esso in un'analisi genetica rende possibile un notevole arricchimento del quadro della teoria: il genio è spirito e lo spirito è principio interno di vivificazione del pensiero che non riceve alcun impulso dall'esterno ma si pone come inizio di una nuova serie; lo spirito dell'arte musicale ha origine in se stesso e non può essere derivato da altro: esso è la fonte originale dell'invenzione di una nuova composizione.
Spirito è il principio interiore (vivificante) della vivificazione delle (facoltà dell'animo) pensieri. Anima è ciò che è vivificato. Di conseguenza lo spirito infonde vitalità a tutti i talenti. Dà inizio a partire da se stesso a una nuova serie di pensieri. Da ciò le idee. Spirito è la vivificazione originaria che proviene da noi stessi e non è derivata […]. Non si dice: lo spirito, ma: semplicemente spirito [...]. Spirito dell'architettura, dell'arte musicale è distinto dall'elemento scolastico e dal meccanismo (Riflessione 934, 1776-78?; 1772??; AA XV, p. 415).
Se la natura intrinseca del genio non è comprensibile a prescindere dal concetto di spirito, è altrettanto impossibile accedere al significato e alla funzione dello spirito senza prendere in considerazione il concetto di “idea”. Nelle fasi precedenti non era ancora emerso con chiarezza che l'arte musicale presuppone genio e spirito, né che il genio e lo spirito presuppongano a loro volta la presenza di un'idea e sfocino nell'invenzione di una composizione nuova, di un'idea musicale originale. Ora, invece, l'idea si presenta come concetto della facoltà della ragione, e assume connotazione platonica, laddove il compito della filosofia è identificato con lo sviluppo dell'idea (AA XXV, pp. 550-551): solo se il filosofo si ispira a un mondo ideale, solo se giudica l'esperienza servendosi dei concetti puri della ragione come criterio, merita di essere designato legislatore della ragione, dotato della capacità di farne un uso architettonico. La filosofia può essere quindi valutata come una scienza fondata sul genio, poiché il genio mira, grazie allo spirito, a orientare la propria facoltà poetica in base all'idea. In questa fase è dunque chiaro che la musica può essere annoverata fra le belle scienze, fra quelle scienze il cui fine si trova certo nel piacere [Wohlgefallen] secondo il gusto, nel rapporto armonico vicendevole fra sensibilità e intelletto; rapporto che però non potrebbe realizzarsi, come non potrebbe realizzarsi la filosofia, se non vi fosse genialità (AA XXV, pp. 550-553).
5. Dalla seconda metà degli anni Settanta alla Critica del Giudizio
Le interpretazioni di questa fase, non numerose in verità, sembrano concordare sul fatto che negli anni Ottanta la musica sia solo occasionalmente oggetto di esame da parte di Kant e venga considerata arte piacevole. Si è affermato che le Lezioni di antropologia del semestre invernale 1781/82 concepiscono il piacere per la musica come movimento degli affetti, e si è ipotizzato che in esso si esprima la bellezza stessa (Nachtsheim 1996, p. 346 nota 59.). L'ipotesi che Kant possa avere collocato la musica fra le arti belle perché scorgeva nei movimenti dell'animo e negli affetti le condizioni della bellezza suscita però qualche perplessità; dalle Lezioni emerge una concezione molto più complessa, della cui ricchezza non si trova sinora traccia nelle interpretazioni.
La nuova fase è inaugurata dalla rinuncia a portare a compimento l'applicazione della dissertazione sul mondo sensibile e intelligibile ai principi del gusto; quest'ultimo perde la sua posizione sistematica nel rapporto con le altre parti della filosofia. Ora Kant concepisce una scienza denominata “filosofia trascendentale”, il cui compito egli ravvisa nell'esame delle fonti, della natura e dei limiti della metafisica. Questa scienza è una “Critica della ragione pura” che deve comprendere sia la conoscenza teoretica sia la conoscenza pratica e si divide in due parti: la prima studia fonti, metodo e limiti della metafisica, la seconda i principi puri della moralità. Il nuovo progetto dà spazio solo alla conoscenza teoretica e pratica, che sono semplicemente intellettuali e indipendenti da qualsiasi elemento empirico (AA X, pp. 126-127), mentre la dottrina del gusto smarrisce la sua collocazione sistematica che ritroverà solo quando Kant, intorno alla metà degli anni Ottanta, scoprirà la correlazione a priori tra la conoscenza e il sentimento; la teoria del gusto non rientra nella nuova forma di metafisica cui Kant dà in quest'epoca il nome di “Critica della ragion pura”.
5.1. L'improvvisazione
Il capitolo delle Lezioni di antropologia del semestre invernale 1781/82 dedicato alla memoria riprende le considerazioni delle fasi precedenti: quando un musicista improvvisa non guarda solo alle note presenti, ma anche a quelle future (AA XXV, p. 974); la memoria richiama le rappresentazioni che abbiamo già avuto, di cui siamo stati coscienti nel passato, e le riconosce. Nel semestre invernale 1785/86 questa concezione è inserita entro la differenza fra talento e genio: le rappresentazioni e le riflessioni oscure sono la base tanto dell'arte bella quanto delle scienze; non è possibile condurre a compimento alcuna invenzione, se non a partire da rappresentazioni e attività oscure (AA XXV, p. 1222); lo dimostra il fatto che un musicista non potrebbe creare l'armonia senza far uso delle facoltà del pensiero (AA XXV, p. 1221); si può notare che l'invenzione riguarda qui sia le scienze sia le arti, mentre più tardi riguarderà solo le scienze. Come intorno al 1770 si era avvalso delle rappresentazioni e dell'attività oscura per contrapporsi alla dottrina del moral sense e del sense of beauty, e per spiegare i fondamenti della morale e dell'estetica sulla base della sola facoltà dell'intelletto, sottraendoli all'arbitrio soggettivo del sentimento e della sensazione, Kant spiega ora il processo creativo delle belle arti indipendentemente dal sentimento individuale o dall'ispirazione di origine divina.
5.2. La validità empirica del gusto
In connessione con la modificazione dell'orizzonte sistematico, l'apriorità fondata sull'intuizione pura del tempo è sostituita dalla validità meramente empirica del gusto. Interrogandosi sui principi che governano il gusto musicale, Kant si pone l'interrogativo se in natura vi sia qualcosa grazie a cui si possa anticipare l'accordo con il giudizio di altri esseri umani, prescindendo dall'osservazione delle loro reazioni soggettive e dalla constatazione del loro gusto attraverso l'esperienza. La risposta è affermativa e fa perno sui concetti tradizionali dell'estetica delle proporzioni: proporzione, ordine, armonia non si rintracciano nel corso dell'osservazione empirica dei sentimenti individuali, perché appartengono alla natura della cosa; la loro validità può essere solo a priori. Ciò non significa però che qui si sia ritornati allo spazio e al tempo come intuizioni pure, perché il termine “a priori” ora non designa se non una validità relativa: la necessità logica da cui è caratterizzato è empirica. Sebbene il nesso fra rapporti matematici e a priori del gusto musicale rimanga, il suo fondamento non è più rappresentato dalle leggi della coordinazione. Il concetto di armonia subisce, infatti, una modificazione semantica: l'armonia può senza dubbio essere conosciuta e compresa a priori indipendentemente da esperienze determinate, ma la sua validità è ricavata in primo luogo dall'esperienza. Poiché si può osservare che essa non è giudicata in modo diverso dai diversi individui e che la reazione soggettiva rimane costante, se ne può dedurre che in tutti i tempi e in tutti i luoghi sia giudicata in base ai medesimi criteri. Questa relazione fra armonia e validità universale e necessaria del gusto è particolarmente evidente nelle Lezioni di metafisica.
Si potrebbe anche dire che alcune regole del gusto siano a priori, ma non immediatamente a priori, bensì comparativamente, quando queste regole si fondassero a loro volta su regole generali dell'esperienza. Per esempio, l'ordine, la proporzione, la simmetria, l'armonia nella musica sono regole che conosco a priori e che ammetto piacciano [gefallen] a tutti, ma che a loro volta si fondano su regole generali a posteriori. Potremmo anche sostenere un gusto necessario; per esempio, ognuno ha gusto per Omero, Cicerone, Virgilio, eccetera (Kant 1986, p. 82).
Anche nella Logica di Vienna si legge:
La perfezione estetica si basa sulle leggi particolari della sensibilità umana e non è perciò universale, per tutti gli esseri. Ma poiché gli oggetti non vengono rappresentati soltanto mediante concetti, ma anche mediante l'intuizione, devono esserci pure leggi universali e necessarie della sensibilità. Qui sta il concetto del bello. Il fondamento del piacere sensibile è bensì soggettivo, ma soggettivo in rapporto all'intera umanità. Ad esempio, musica, simmetria (Kant 2000, p. 28).
Nachtsheim interpreta questo passo adducendolo a conferma della spiegazione dell'a priori nella Critica del Giudizio; qui però si propone l'idea di una universalità comparativa, non di quell'a priori del gusto di cui si troverà la fondazione solo dopo il 1785 (Nachtsheim 1996, p. 331 nota).
Anche in una Riflessione Kant afferma che “l'armonia della sensazione secondo la materia è valutata in modo diverso e ha principi meramente soggettivi; secondo la forma essa è però sottoposta a una regola oggettiva” (Riflessione 973, 1776-78; AA XV 426).
Quale l'oggetto di questo giudizio dotato di universalità e necessità empiriche? In una Riflessione sulla fisica vengono addotti, ancora sulla base di Euler, i rapporti numerici fra la vibrazioni dei suoni:
Ogni suono [Ton] compie 2 vibrazioni, e nell'intervallo fra esse consiste appunto il suono. 2. [In] Un'ottava rispetto al suono fondamentale ha quindi almeno 4 vibrazioni contro 2. 3. La [terza] quinta (3:2) compie 6 vibrazioni contro 4 del suono fondamentale. 4. La grande terza (4:5) compie 10 vibrazioni contro 8 del suono fondamentale […]. Un'ottava risuona due volte (in relazione al suono fondamentale) (Riflessione 45, 1775-77 circa; AA XIV, p.).
Può sembrare, sulle prime, che nell'elaborazione kantiana della seconda metà degli anni Settanta la sensazione sia concepita come un dato empirico e soggettivo. Il capitolo della Anthropologie-Pillau dedicato all'invenzione come arte e ai suoi prodotti in quanto prodotti dello spirito, ammette il piacere [Wohlgefallen] solo relativamente al gioco delle sensazioni, escludendo che i singoli suoni possano suscitare piacere [Wohlgefallen]. Quest'ultimo può sorgere dall'armonia, dal rapporto matematico fra suoni, mentre gli elementi singoli non sono belli, scaturendo la vera bellezza unicamente dalla rappresentazione di un intero.
La musica è propriamente il gioco puro delle sensazioni, perché in essa non vi sono figure; essa piace perché i suoi singoli elementi non hanno in sé nulla di piacevole. Solo l'armonia è piacevole (Riflessione 1487; AA XV, pp. 760-761).
Il medesimo concetto è espresso in una Riflessione che pare risalire agli anni 1776-1784:
Il gusto ha leggi universali, non leggi a priori; il gusto riguarda solo la forma dell'intrattenimento dei sensi senza appagamento. Ama il mutamento. Non arte, non ricchezza né utilità. Natura che non costa nulla. Facilità. Gusto nei colori e in ciò che è privo di colore. Nella conversazione: niente cerimonie. Musica. Giardini. Edifici. Opere teatrali (Riflessione 983; AA XV, p. 429).
Non si può però dimenticare che anche il singolo suono può rivelare in sé una sua specie di armonia, diversa dall'armonia fra molteplici suoni; si possono perciò assegnare ad esso le medesime universalità e necessità empiriche riconosciute all'armonia, perché l'animo manifesta la capacità di percepire le proporzioni fra le molteplici vibrazioni che danno luogo a un suono. I suoni non sono se non partizioni uniformi colte dalla percezione straordinariamente fine dell'udito che è in grado di percepirne la proporzione, sebbene il suono più acuto emetta ben 5000 oscillazioni in un secondo. Questa osservazione non è però esplicitamente posta in rapporto con il concetto della bellezza.
Sono stati compiuti diversi esperimenti per stabilire quante vibrazioni dell'aria al secondo sono necessarie perché il suono più fine e quello più rozzo possano essere prodotti. Si è trovato che nel suono più grave l'aria deve compiere 30 vibrazioni al secondo, mentre nel suono più acuto sono richieste 5000 vibrazioni al secondo. La vibrazione dell'aria compie divisioni del tempo così indescrivibilmente piccole che le si dovrebbe ritenere impossibili se l'osservazione non ne desse una precisa conferma e il loro calcolo non si fondasse su principi certi.
Rimane costante la differenza, ripresa da Euler, fra suono [Schall] e nota [Ton]: solo la nota presuppone una successione regolare di vibrazioni nel tempo. “Schall e Ton si differenziano perché Ton è un suono in cui il tempo è ulteriormente suddiviso in un numero uniforme di vibrazioni [...]” (AA XXV, p. 999).
A differenza delle fasi precedenti e anche di fasi più tarde si profila l'idea che l'anima non sia in grado di percepire la differenza tra le vibrazioni dell'aria in un suono. In base alla Danziger Physik questa capacità sarebbe dovuta solo ai nervi: se consideriamo che l'udito è anch'esso costituito da nervi possiamo spiegare per quale motivo percepiamo le vibrazioni di una corda. Ciò è coerente con la struttura della Lezione; la fisica infatti verte proprio sull'organizzazione corporea dell'essere umano; le relazioni fra corpo e animo sono completamente estranee al suo ambito. Oggetto della fisica è la materia, che può essere caratterizzata come movimento; il suono è un movimento che può essere ricondotto a leggi matematiche. Un passo della Danziger Physik può eliminare ogni dubbio sul fatto che Kant nella sua analisi dei limiti entro i quali singole impressioni acustiche sono percepibili si sia fondato su Euler: “Questo pulsus aëris, come Euler chiama il suono [...]” (AA XXIX, p. 146).
Euler dice: la nota più bassa è quella in cui la corda compie 20 vibrazioni in un secondo. Una corda può vibrare 4000 volte al secondo, ma se vibra di più non abbiamo più note. Gli uccelli devono emettere più vibrazioni, perché la loro voce non è molto simile al suono. Ma non si può credere che la nostra anima riesca a distinguere le vibrazioni; ciò dipende dai nervi (AA XXIX, p. 148).
Con il senso dell'udito siamo affetti da oggetti esterni, non perché siamo colpiti senza che nulla si frapponga, ma in quanto l'aria funge da intermediario; siamo affetti dall'oggetto attraverso il movimento dell'aria; il senso dell'udito rivela una particolare raffinatezza nel dividere il tempo (AA XXV, p. 920). Come già precedentemente anche ora si stabilisce una distinzione nell'oggetto del senso dell'udito: l'armonia e la misura costituiscono l'ordine della struttura matematica dei rapporti fra gli intervalli, le singole note, in sé considerate, sono divisioni del tempo risultanti da un certo numero di vibrazioni.
Si può notare una differenza rispetto alle fasi precedenti anche relativamente alla determinazione del numero delle vibrazioni delle singole note: adottando la proposta di Euler, nella lezione di fisica del 1785/85 Kant propende per le cifre 20 e 4000. Più tardi però modifica questa posizione: “Esso [l'udito, P.G.] è un senso fine perché se ne può fare un uso esteso [...]. L'udito può sentire subito se il suono vibra di più o di meno” (AA XXV, pp. 1452-1453). Nel 1781/82 si parla di 30 oppure 5000 vibrazioni al secondo, nel 1785/86 di 20 e 4000, nel 1787/88 si afferma: “ad esempio nella musica, qui una corda che emette la nota più grave vibra 50 volte al secondo. Ma quella che emette la nota più acuta compie 6000 vibrazioni al secondo”. Non è facile indicare per quale motivo le cifre non siano stabili; si potrebbe anche supporre che ciò risalga non a Kant, ma alle trascrizioni dei suoi studenti. In ogni caso ciò sarebbe forse rilevante per chi voglia comprendere le ricerche kantiane sull'acustica, mentre è di importanza relativa per l'interprete che mira al chiarimento della dimensione filosofica del problema.
5.3. Genio e tema
Nonostante il mutamento di posizione della musica nel sistema delle arti, ancora nel 1781/82 Kant la considera un'arte bella la cui origine si trova nella facoltà poetica, sebbene essa giochi semplicemente con sensazioni. Il capitolo “Sulla facoltà poetica” mostra che anche l'arte musicale presuppone necessariamente un'idea della quale è espressione; la tromba dà l'esempio di un tipo di musica nella quale la misura che conferisce un ordine alla durata temporale si impone come elemento predominante; all'ascolto della musica della tromba possiamo vedere emergere in noi l'idea che governa questa musica, perché la misura divide il tempo e il tempo produce in noi ordine e armonia (cfr. AA XXV, p. 992). Anche qui Kant è debitore nei confronti di Euler e delle sue Lettere nelle quali la musica della tromba era presentata proprio come esempio di arte musicale fondata sulla misura. Che cosa significa però “farsi un'idea” della musica? Perché si parla qui di “idea”? Essa è equiparata alla misura, all'ordine e all'armonia; il suo fondamento è lo spirito. Poiché è possibile trovare per ogni tipo di musica un testo che vi corrisponda, si pensa anche che nell'accompagnare il testo si realizzi l'autentico compito dell'arte musicale: questa è però una convinzione errata perché la musica non designa alcun pensiero, ma solo un rapporto armonico fra le sensazioni (AA XXV, p. 986).
Questa costellazione concettuale assume lineamenti ancor meglio definiti nella seconda metà degli anni Settanta. Il concetto del tema non può essere pensato a prescindere dal genio e la sua invenzione diviene possibile esclusivamente se il genio è attivo, se in esso è operante lo spirito. Il tema, in quanto rappresentazione unica che conferisce unità alla composizione, è il prodotto dell'attività dello spirito. Anche nel gioco delle sensazioni dobbiamo avere un'idea o un tema, una rappresentazione principale che dà l'impronta a tutte le parti, affinché l'effetto vivificante del gioco acquisisca un grado di maggiore perfezione grazie all'unificazione (AA XV, p. 361). L'idea conferisce unità alla composizione benché la sua origine non sia empirica; sua sede è l'animo del musicista, suo principio è l'invenzione.
Nel capitolo “Sul genio” emerge come il concetto di spirito sia inscindibile dal concetto di idea; idea ha quindi un significato molto esteso, e indica ciò che di volta in volta è l'elemento essenziale. Idea è ciò che vive in modo armonico nell'intero. Questa definizione diventa più comprensibile se la si rende intuitiva con un esempio: le idee principali delle opere di Rousseau sono contenute nell'estratto che Formey ne ha approntato e designano il suo progetto filosofico nel suo insieme senza l'aggiunta di altri elementi volti ad estendere l'opera (cfr. AA XXV, pp. 1063-1064).
La netta differenziazione fra virtuosi e compositori autentici è conseguenza della concezione che anche nella musica come in tutte le altre arti belle si può manifestare il genio; solo fra coloro che sono in grado di comporre, di inventare il nuovo, si possono individuare i geni, mentre i virtuosi si limitano all'imitazione e non creano nuove regole. È tuttavia anche vero che l'esecuzione di una composizione richiede un talento particolare favorito dal meccanismo degli organi di senso; i virtuosi hanno dunque ricevuto dalla natura una struttura fisica del tutto particolare e favorevole all'arte (cfr. AA XXV, p. 1495). I musicisti mostrano di possedere una grande abilità quando sanno produrre su uno strumento i suoni che sono propri di un altro strumento, se ad esempio sono capaci di suonare un oboe nel tono del flauto, a prescindere dalla gradevolezza del suono che ne risulta. Sebbene avvenga al di fuori della norma e non abbia alcun valore estetico, ciò diventa piacevole per la sua stranezza e per l'arte richiesta per la sua realizzazione; perciò ammiriamo persone che, senza alcun aiuto, hanno conseguito questo risultato. Gli esempi addotti illustrano che possono esistere individui favoriti dalla natura che si avvicinano molto alla genialità, senza però poter essere considerati autentici geni (cfr. AA XXV, pp. 1064-1065).
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