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Inserito il - 13/03/2008 : 12:06:59
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Tibet, esplode la rivolta buddista la polizia arresta settanta monaci
Dieci anni dopo le ultime repressioni la folla amaranto sfida nuovamente il regime
di RAIMONDO BULTRINI
da http://www.repubblica.it
DHARAMSALA - Dopo i monaci buddisti birmani è la volta dei loro compagni di fede del Tibet. Per la prima volta a distanza di dieci anni dalle repressioni cinesi dell'88 e '89, l'esercito in amaranto dei grandi monasteri di Lhasa è sceso in strada in occasione del 49esimo anniversario della fallita rivolta contro l'occupazione delle truppe di Pechino. Tra i 3 e i 400 religiosi, usciti da due dei più grandi complessi di studio e preghiera attorno alla capitale tibetana, hanno sfilato in corteo chiedendo il rilascio di un gruppo di religiosi e laici arrestati a ottobre con l'accusa di aver inneggiato alla consegna della medaglia d'oro del Congresso americano al Dalai Lama, e per chiedere il ritorno in Tibet del loro leader spirituale esule nella città di Dharamsala, in India.
In una serie di contraddittorie dichiarazioni, diverse autorità cinesi hanno prima smentito poi ammesso di aver effettuato degli arresti. Secondo un portavoce del ministero degli Esteri "qualche monaco ignorante di Lhasa, sostenuto da un manipolo di persone, ha commesso delle illegalità con l'intenzione di sfidare la stabilità sociale, e sarà punite secondo la legge". Per minimizzare ulteriormente, il capo del governo tibetano Champa Phuntsok ha detto che "non è davvero successo niente, ogni cosa è a posto".
Ma Radio Free Asia cita fonti locali che parlano di oltre 70 arresti, alcuni dei quali effettuati in pieno centro di Lhasa, nell'affollata area del Barkhor dove pellegrini da tutto il Tibet giungono prostrandosi di fronte alle enormi immagini dei Buddha custodite nel tempio Jockang. Tra questi anche un lama "reincarnato" e diversi altri cittadini dei quali i siti web del dissenso hanno diffuso nomi e cognomi.
Notizie di proteste sono giunte anche dalla remota regione dell'Amdo, dove numerosi cittadini avrebbero boicottato una funzione ufficiale nel distretto di Mangra e gridato alla Lunga vita del Dalai lama, originario di queste montagne.
Il vento della rivolta, che secondo i tibetani esuli di Dharamsala soffierà fino ai Giochi Olimpici, è partito lunedì dal monastero di Drepung, la più grande delle istituzioni religiose a pochi chilometri dalla capitale del Tibet. Costruito come una cittadella con centinaia di edifici, un tempo ospitava oltre settemila monaci. Oggi sono meno della metà e i più ribelli vengono costretti a seguire corsi di "rieducazione" politica. Oltre trecento di loro hanno tentato di marciare verso il leggendario Palazzo Potala, ex dimora del Dio Re, ma sono stati bloccati a arrestati in massa. In misura minore anche i monaci di Sera sono riusciti a uscire dal perimetro del monastero, e alcuni hanno raggiunto i manifestanti del Barkhor, prima di venire fermati e - alcuni di loro - arrestati.
Secondo i siti del dissenso, da lunedì pomeriggio tutti i più grandi centri religiosi sono stati circondati dalla polizia, nel timore che questi inediti e rischiosi focolai di ribellione possano prendere piede su tutto l'altipiano occupato 60 anni fa dalle truppe dell'esercito popolare. In realtà la prospettiva delle Olimpiadi aperte ai mass media di tutto il mondo sembrano aver offerto ai tibetani dentro e fuori dal paese un'occasione unica, come non si presentava da anni.
Oltre alle proteste di Katmandu - durante le quali oltre 150 monaci e civili sono stati feriti dalla polizia - continua nonostante il divieto delle forze dell'ordine la marcia di un centinaio di tibetani esuli partiti lunedì da Dharamsala con l'intenzione di attraversare il confine del Tibet cinese alla vigilia dei Giochi in agosto.
(12 marzo 2008)
http://www.repubblica.it/2008/03/sezioni/esteri/cina-diritti/tibet-proteste/tibet-proteste.html
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Inserito il - 18/03/2008 : 12:10:40
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Tibet, Dalai Lama: "Sono pronto a dimettermi"
Lo accusano di avere premeditato le violenze delle ultime ore
http://www.voceditalia.it
Cina, 18 mar- Il Dalai Lama è anche pronto a dimettersi se le violenze in Tibet continueranno. La dichirazione è arrivata a seguito di una conferenza stampa appositamente indetta a Dharamsala, sede dell'esiliato parlamento tibetano in India.
"La sola opzione sono le dimissioni se le cose vanno fuori controllo", ha dichiarato un rappresentante del Leader spirituale tibetano con rifermento alle ultime violenze compiute negli ultimi giorni a Lhasa. Una dichirazione di certo molto dura, che viene rilasciata a poche ore di distanza dalle accuse del leader cinese Wen Jiabao, il quale prende di mira proprio la "cricca" del Dalai Lama, accusandola di avere premeditato e compiuto le violenze col solo scopo di boicottare gli ormai imminenti giochi olimpici.
"Il loro comportamento dimostra che tutte le affermazioni sul fatto che chiedono l'autonomia e non l'indipendenza non sono altro che falsità" ha aggiunto Jiabao, puntando inoltre il dito contro tutti i manifestanti tibetani che "hanno ucciso in modo estremamente crudele cittadini innocenti". Il primo ministro cinese sostine dunque la colpevolezza e responsabilità del Dalai Lama e dei suoi seguaci, accusandoli di volere solamente sabotare la olimpiadi, che da generazioni sono il sogno di moltissimi cinesi, e per questo "da non politicizzare". Un'accusa che secondo molti non farebbe altro che aggravare ulteriormente il rapporto tra la super-potenza ed il Tibet, preoccupando non soltanto il mondo intero, in particolare l'Unione Europea, ma anche estendendo la rivolta in altre regioni della Cina, rischiando di divenire assolutamente incontrollabile.
Una situazione che sta diventando sempre più pericolosa, resa ancora più preoccupante per le ultime dichirazioni di Jabao a proposito dell'apertura o meno al dialogo. "Se il Dalai Lama rinuncia definitivamente all'indipendenza del Tibet e Taiwan, considerandoli parte integrante della Cina, allora la porta per il dialogo resta aperta". Una vera e propria contrattazione vincolata, che sembra solo rendere ancora più teso un clima ormai rovente in tutta la regione tibetana.
Infatti, oltre ad essere ancora vietato l'accesso dei giornalisti stranieri per constatare la situazione, in molti testimoniano che da quando l'ultimatum di Pechino è scaduto, ovvero circa alle 17 italiane di ieri pomeriggio, nella Capitale tibetana sono iniziate le perquisizioni. Stando a quanto dichirato da alcuni cittadini, ieri pomeriggio decine e decine tra uomini e donne tibetane, sopratutto giovani, sfilavano nel centro della città sui carroarmati e con la testa fasciata, mentre gli altoparlanti ripetevano più e più volte l'appello per la resa.
Come sempre poca chiarezza, ma sopratutta poca voglia di comprendere le effettive esigeneze di uan zona così ricca e florida come il Tibet, vittima secondo il Dalai Lama stesso di un vero e proprio "genocidio culturale", confinando i cittadini, gli innocenti, ad un trattamento poco dignitoso.
Ancora sconosciuto il numero delle vittime. Secondo il governo cinese sono solo 16 le persone che hanno perso la vita, per il governo tibetano almeno un centinaio.
Marco Grisafi
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Tibet, cento morti. Scaduto l'ultimatum
La Cina è sulla difensiva dopo l'inattesa e violenta esplosione della questione tibetana mentre si avvicinano le Olimpiadi di Pechino.
http://www.iltempo.it/
Ieri, mentre stava per scadere il minaccioso ultimatum lanciato ai «ribelli» di Lhasa (mezzanotte locale, le 17 in Italia), il governatore del Tibet Qingba Puncog ha convocato in tutta fretta una conferenza stampa per dire che la polizia non ha sparato un colpo a Lhasa, che l'esercito non è mai intervenuto e che le vittime, tredici in tutto, «pacifici cittadini», verosimilmente di etnia cinese han, sono stati «bruciati vivi e accoltellati dai teppisti sostenitori del Dalai Lama».
Le dichiarazioni di Puncog contraddicono quelle di decine di testimoni secondo i quali la polizia è intervenuta in forze appoggiata da mezzi corazzati dell'esercito e che colpi di arma da fuoco si sono sentiti per tutto il pomeriggio di venerdì 14 marzo e la mattina di sabato 15. «So che ci sono molte voci e che i mezzi d'informazione stranieri hanno parlato di 35, 50, 70 e anche 80 morti a causa di questi incidenti - ha proseguito il governatore - ma oggi vi posso dire responsabilmente che sono notizie infondate». A Dharamsala, in India, esponenti del Parlamento tibetano in esilio hanno sostenuto che gli incidenti che si sono verificati «a Lhasa ed in altre zone del Tibet...hanno portato alla morte di centinaia di tibetani...». Samdhong Rinpoche, capo del governo in esilio, ha chiarito: «Penso che il bilancio sia intorno alla cifra di cento vittime». «È molto difficile - ha spiegato - avere un conto preciso, per esempio abbiamo una persona che in un solo obitorio ha contato 68 cadaveri». A Lhasa ieri tibetani e cinesi sono usciti dalle loro case normalmente per la prima volta da venerdì e le attività si sono avviate a riprendere il loro corso normale. Gli stranieri sono rimasti chiusi nei loro alberghi.
L'ultimatum lanciato dalla polizia di Lhasa ai ribelli, che devono arrendersi oppure andare incontro a «severe» conseguenze, è scaduto senza effetti visibili sul terreno, finora. Resta sempre alta è l'attenzione del mondo sulla crisi cino-tibetana e continuano a piovere condanne e appelli alla Cina ad esercitare «moderazione». Il segretario di Stato americano Condoleezza Rice ha invitato Pechino a trattare col Dalai Lama. Per la Russia comunque il Tibet è «una parte inseparabile della Cina» e «la soluzione dei rapporti con il Dalai Lama è un affare interno della Repubblica popolare». Ieri il presidente della Repubblica Antonio Napolitano, ha detto che è necessaria un'iniziativa dell'Unione Europea per affrontare l'emergenza. E per il leader di An Gianfranco Fini è «necessario esercitare la pressione internazionale a ogni livello. Ma è sbagliato discutere di boicottaggio».
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Tibet : il Dalai Lama pronto alle dimissioni
http://www.unionesarda.it/
Accusato dalla Cina di aver ispirato le manifestazioni di Lhasa, il leader spirituale dichiara di avere come "unica opzione le dimissioni”. Sui rapporti con la Cina: “bisogna avere buone relazioni, dobbiamo vivere fianco a fianco”. Giappone e Australia escludono il boicottaggio delle Olimpiadi Il Dalai Lama ha detto di essere pronto alle dimissioni se la situazione degenera e diventa incontrollabile. La dichiarazione è arrivata durante un incontro con la stampa a Dharamsala, in India, sede del parlamento tibetano in esilio. Il leader spirituale dei tibetani, accusato dalla Cina di essere dietro alle manifestazioni di Lhasa, ha detto di avere come "unica opzione le dimissioni se le cose vanno fuori controllo”. Il Dalai Lama ha anche aggiunto che l'indipendenza del Tibet non è all'ordine del giorno e che "bisogna avere buone relazioni con la Cina e non bisogna sviluppare sentimenti anticinesi. Dobbiamo vivere fianco a fianco”.
La Cina intanto continua a sostenere che i morti negli scontri sono tredici, mentre secondo il governo tibetano sono almeno cento. Il primo ministro cinese Wen Jiabao accusa la “cricca del Dalai Lama” di aver premeditato e organizzato” le violenze nella capitale tibetana. Il premier sostiene inoltre che i disordini sono diretti a “sabotare le Olimpiadi” e che le forze di sicurezza cinesi non hanno usato armi da fuoco. Wen ha però ammesso che la rivolta si è estesa a molte zone del Paese.
Taiwan inon esclude di boicottare le Olimpiadi. Lo ha affermato il candidato favorito nelle elezioni presidenziali, Ma Ying-Jeou, che si presenta per il Partito Nazionalista. L’ipotesi di boicottaggio è invece respinta dal Giappone, che attraverso il ministro degli Esteri Masahiko Komura, si è limitato a far sapere che “per il bene della Cina, è meglio che sia il più possibile aperta e trasparente” la gestione della crisi in Tibet.
In Australia una mozione del Senato federale, presentata dai Verdi e votata all’unanimità, esorta il Governo di Canberra a premere sulla Cina perché siano tutelati i diritti umani e non sia negato l’accesso dei media nell’area di crisi in Tibet. In diverse città australiane si svolgono iniziative contro la repressione dei manifestanti tibetani, ma l’esecutivo laburista esclude l’ipotesi di boicottaggio delle Olimpiadi. A Sidney alcuni esuli tibetani hanno bruciato bandiere cinesi davanti al consolato.
In India oltre duemila tibetani si sono riuniti a Siliguri chiedendo all’Onu un’inchiesta sulla repressione cinese. Dawa Gyalpo, uno degli organizzatori del raduno, ha accusato le Nazioni Unite di “osservare ciò che succede in Tibet senza fare nulla”.
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